Ospedali psichiatrici giudiziari: quale accoglienza per gli ex detenuti?

La chiusura definitiva, salvo ripensamenti, è fissata per il 13 marzo del 2015. I detenuti “dimissibili” passeranno in carico alle Regioni e torneranno nei territori di provenienza. In molti casi nei luoghi dove hanno commesso i loro delitti. Un aspetto delicato che interroga anche le comunità cristiane per l’accoglienza, nella speranza che lo Stato abbia ascoltato anche le famiglie delle vittime.

Per gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Opg la sigla, in tutto sei a Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Secondigliano e Aversa in Campania, Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia) si avvicina la data di chiusura definitiva. L’appuntamento è fissato al giorno 13 marzo 2015, un venerdì, nel quale gli ospiti rimasti dovrebbero venire trasferiti nelle cosiddette “Rems – Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza”, a carico delle Regioni. Con questo evento si metterà la parola “fine” non soltanto sulla lunga e triste storia dei vecchi “manicomi criminali”, ma su un intero sistema di pensiero e di visione giudiziaria. La legge che aveva istituito questi luoghi di detenzione, “ospedali-carceri”, risale al 1904. Allora, più di un secolo fa, si parlava di “ricovero coattivo”, concetto che poi venne trasformato, negli anni ’70, in coincidenza con la riforma dei manicomi e la loro progressiva chiusura (legge “Basaglia” del 1978), in strutture che dovevano custodire e curare persone responsabili di crimini, anche gravi, a motivo delle loro condizioni psichiche che li rendevano inadatti alla carcerazione normale e bisognosi di cure specifiche. L’epilogo ora si avvicina, dopo un paio di tentativi andati a vuoto nei due anni precedenti per l’impreparazione delle regioni: la prima scadenza infatti fu il 13 marzo 2013, poi saltata e spostata al 13 marzo 2014. Anche nella primavera scorsa non sussistevano le condizioni per “chiudere” ed eccoci all’ennesimo rinvio fino al 13 marzo 2015, nella speranza che sia la volta buona.

Su 826 detenuti attuali, 476 ‘dimissibili’. Al momento alcune Regioni hanno fatto presente una serie di difficoltà. Ad esempio, Friuli, Valle d’Aosta, Campania, Calabria e Sardegna insieme a Trento e Bolzano, al momento non hanno trasmesso un programma di utilizzo dei finanziamenti disponibili e quindi si desume che non abbiano le strutture alternative necessarie. Le Regioni Piemonte, Lombardia, Umbria, Marche, Molise, Puglia e Sicilia hanno inviato un programma, ma non risulta del tutto conforme. Altre Regioni quali Liguria, Emilia, Toscana, Abruzzo, Veneto e Lazio hanno invece programmi ritenuti adeguati. Un panorama quindi, “a macchia di leopardo”, che dovrà tener conto degli “utenti”. Infatti su un totale di 826 detenuti attuali, 476 risultano “dimissibili”, 314 “non dimissibili” e 36 “da valutare”. Siccome oltre la metà dei degenti-detenuti attuali risultano “dimissibili”, l’orientamento è che col prossimo marzo si proceda a chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, spostando interventi e risorse comunque sulla cura da erogare nei territori. Le Regioni dovranno quindi adeguarsi quanto prima e secondo il numero dei detenuti loro affidati, dato che uno dei criteri sarà che i detenuti ritorneranno presumibilmente nei rispettivi territori di origine e spesso dove hanno commesso i reati.

Avere a cuore le persone, non lasciarle “cadere”. A questo punto si pongono questioni legate al rientro nella società di tali detenuti, pur considerando che saranno assistiti in strutture “protette”. Secondo don Daniele Simonazzi, cappellano dell’ospedale giudiziario di Reggio Emilia, il problema riguarda sia la società civile, sia la comunità cristiana. “Ci si deve interrogare se siamo abbastanza ricettivi sul piano civile, ma – per noi cristiani – soprattutto sul piano della comunità ecclesiale, per poter assicurare un’assistenza che li faccia sentire rientrati in un ambiente accogliente, che vuole loro bene”, afferma. “Inoltre dobbiamo anche pensare alle famiglie delle vittime di questi detenuti che torneranno più o meno ‘liberi’ nei propri territori di origine. Come potranno venire accolti da coloro che hanno subito violenza? E questi ultimi sono stati in qualche modo consultati dallo Stato?”. Fra’ Sereno De La Salle, il cappellano dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli Secondigliano, sottolinea che negli ultimi anni “sono diminuiti considerevolmente i detenuti da internare negli opg, ma non sono diminuiti affatto, anzi presumibilmente sono aumentati i detenuti cosiddetti ‘comuni’ che hanno problemi psichici”. “Da noi – prosegue – arrivano quelli che appaiono, a volte anche per turbe del tutto momentanee, non compatibili con il regime carcerario. Ma basta visitare un carcere per rendersi conto della gravità e diffusione del disagio psichico tra i reclusi”. Secondo Fra’ Sereno, “il carcere con i suoi ospiti è il terminale di una società che fa di tutto per far impazzire la gente. Dalle piccole forme di intolleranza tra parenti e vicini, alle famiglie che si sfasciano, alle piccole e grandi forme di delinquenza, siamo di fronte a un diffuso squilibrio personale”. La sua ricetta è “la prevenzione, evitare che si rompa l’equilibrio della persona, prima che sia troppo tardi e che arrivi al delitto!”. Giusto, diremo tutti. Ma chi deve fare questa prevenzione? Da dove cominciare? Fra’ Sereno risponde: “Dalle famiglie, dalla comunità cristiana, anche dalla società civile, dalle amministrazioni locali. Bisogna avere a cuore le persone. Non lasciarle cadere…”.