Omosessualità e nullità del matrimonio

Non tutti i comportamenti omosessuali mettono in discussione il matrimonio.

Il canone 1095, 3° si occupa dell’incapacità a farsi carico degli atti e comportamenti che scaturiscono dal patto coniugale per cause di natura psichica. L’incapacità può consistere di qualunque possibile psicosi, nevrosi, disordinie della personalità o immaturità che agiscono sul rapporto intelligenza/volontà del soggetto. Dovrà, inoltre, sussistere al momento dello scambio del consenso e trattarsi di una radicale e sostanziale inettitudine, e non solo di una temporanea indisponibilità. La dottrina canonistica e la giurisprudenza rotale, in mancanza di una norma esplicita che faccia riferimento all’omosessualità, hanno dovuto ricostruire il fenomeno ed hanno trovato utile richiamarsi, per qualificare un dato soggetto quale omosessuale “vero” (effettuando dunque nette distinzioni tra il bisessuale o lo pseudo bisessuale o ancora gli omosessuali transitori), alla “scala di Kinsey”. Questa consentirebbe di graduare le tendenze omosessuali di un individuo classificando i vari atteggiamenti dell’orientamento sessuale umano basandosi sui comportamenti e le fantasie dei soggetti su sei gradi. Si parte da un orientamento completamente diretto al sesso opposto (a cui si dà valore zero) e, attraverso gradi intermedi, si giunge all’orientamento sessuale indirizzato esclusivamente verso lo stesso sesso (a cui si dà classe sei). L’ultima classe è stata ritenuta dai Giudici della Chiesa incompatibile con il matrimonio, poiché, l’omosessuale esclusivo sarebbe, appunto, radicalmente incapace di volere l’altro sesso. Egli stesso, cioé, dovrebbe riconoscersi non in grado di porre in essere il matrimonio. Accade però che talune persone omosessuali contraggono comunque matrimonio, mosse principalmente dalla speranza che questo le “guarisca” o anche per reazione alla “condanna” sociale, che spesso costringe l’omosessuale ad assumere atteggiamenti di dissimulazione. Il matrimonio, però, non essendo un rimedio o un’adeguata soluzione a questi problemi, spesso li aggrava. Quando la giurisprudenza ha dovuto prendere in esame casi di omosessualità, ha fatto costantemente riferimento all’ipotesi prevista da questo canone. Il soggetto omosessuale, irresistibilmente attratto dal suo stesso sesso, solo nel rapporto omosessuale potrà trovare pieno appagamento, essendo radicalmente incapace a dar vita ad un consorzio di vita eterossessuale perpetuo ed esclusivo allo scopo di costituire quell’intima comunità di vita e amore coniugale. L’incapacità del soggetto omosessuale di contrarre un valido vincolo matrimoniale non attiene ad un difetto di intelligenza o di volontà, quanto piuttosto all’incapacità del soggetto di donarsi all’altra parte da un punto di vista psicologico, rigettando così del coniuge la sua femminilità o mascolinità ed il suo carattere di persona. Ovviamente occorrerà verificarne, di volta in volta, la gravità in quanto non qualsiasi orientamento della pulsione e nemmeno qualsiasi comportamento omosessuale è suscettibile di mettere in discussione il matrimonio.