Nuovi media e disastri naturali. Il vescovo: «siano rapidi nell’emergenza e lunghi nell’attenzione»

A un anno dal sisma è sembrato necessario analizzare il nuovo quadro sociale e prendere coscienza di quanto l’evento sismico abbia inciso sulle comunità, sulla loro capacità di crescita e di resistenza al disastro; sul livello di ricostruzione, materiale e morale, raggiunti. Per questo Telpress e Ferpi hanno promosso la giornata di studi su “Disastri naturali: una comunicazione responsabile”

Per entrare nel vivo dell’evoluzione del rapporto tra i media e i disastri, in occasione della giornata di studio proposta da Telpress e Ferpi su “Disastri naturali: una comunicazione responsabile”, mons Pompili ha pensato di partire da una copertina della «Domenica del Corriere» del gennaio 1915. Il drammatico acquarello che ritrae “il Re che assiste al passaggio dei feriti tolti di tra le rovine di Avezzano”, marca bene la distanza con la comunicazione attivatasi dopo le 3.36 del 24 agosto 2016.

È stato bene, dunque, lo scorso 5 dicembre, impiegare il salone del Palazzo papale per riflettere con gli addetti del settore sull’impatto sui media di uno degli eventi che maggiormente hanno caratterizzato la storia recente del territorio locale e nazionale: il terremoto che ha devastato l’Italia Centrale tra il 24 agosto e il 30 ottobre 2016.

L’evento è stato infatti il primo a vedere fino in fondo gli effetti di una cross-medialità senza precedenti nella storia. «I social ormai diffusi su larga scala – ha ricordato il vescovo Domenico – hanno velocemente fatto comprendere l’entità del fenomeno e quel che ne è seguito in termini di velocità dei soccorsi è stato anche il valore aggiunto della Rete». Inoltre «la comunicazione ha indubbiamente avuto il merito di tenere desta l’attenzione per lunghi mesi. E ha accompagnato le diverse fasi dell’emergenza». Ma ovviamente non sono mancati i rischi: «all’interno di questo quadro tecnologico», perché l’aumentata complessità dei processi comunicativi e la pluralità delle fonti, non soltanto istituzionali, e per questo non sempre coerenti tra di loro, ha aperto la strada a potenziali cortocircuiti nel rapporto tra fonti istituzionali e popolazione esposta.

Di conseguenza mons Pompili ha indicato tre derive da fronteggiare: «una comunicazione doloristica, che ha avuto breve durata; una comunicazione allarmistica, che ha avuto un lungo decorso a seguito dell’interminabile sciame sismico; una comunicazione politica che poco spazio lascia ai diversi attori sociali che fanno la ricostruzione». Ma dal vescovo è giunto anche l’invito a cogliere le molteplici opportunità del panorama attuale. Ad esempio riguardo a una «comunicazione preventiva», rivolta al terremoto come «fatto culturale e sociale prima che distruttivo». La consapevolezza di vivere in una zona a rischio sismico, infatti, «non si accompagna sempre ad una avvertenza critica che incide sulla vita quotidiana: qualità antisismica delle case, infrastrutture adeguate».

Un altra opportunità, è quella della «comunicazione lunga», che si sottrae alla semplice cronaca dell’evento per «accompagnare tutta la lunga ed estenuante fase del post terremoto che è processo da declinare in termini di decenni». In questo senso, secondo don Domenico, il compito dell’informazione è quello di «alimentare un’attenzione prolungata nel tempo, breve, medio e lungo, se non vuole abbandonare al loro destino territori già fragili prima del terremoto».La «comunicazione plurale» è la terza linea di forza indicata dal vescovo: «non vi è dubbio che la presa di parola che la Rete ha conferito ad ognuno ha realizzato un racconto a più voci che va ben oltre i canali informativi ufficiali. Non mancano rischi, ma la qualità del processo comunicativo ne risulta enormemente arricchito, soprattutto per la capacità di attivare la cittadinanza che non è più semplicemente la ferita da curare, ma anche il soggetto che attivamente partecipa alla fase del superamento della crisi».

Stretto in un unico concetto, il ragionamento proposto da mons Pompili individua nello scollamento tra la tragicità del fatto e la coscienza della società il terreno della responsabilità della comunicazione: «mi auguro che la comunicazione aiuti ad accorciare questo gap e favorisca così una ripresa generale – ha concluso il vescovo – che può essere perfino sorprendente se si riesce a mobilitare l’intero corpo sociale della comunità».