Niente magia in “Allied”, pellicola di Zemeckis

Qualcosa non funziona nella pellicola di Zemeckis, a partire dall’alchimia fra i due protagonisti

Questo 2017 cinematografico si è inaugurato con l’anniversario della scomparsa del grandissimo divo americano Humphrey Bogart. Il 14 gennaio del 1957, infatti, si spegneva in America una delle icone più rinomate e riconoscibili del cinema classico, il duro dal cuore tenero, interprete di moltissime pellicole noir, a cui ha regalato il suo volto espressivo. Tra le innumerevoli pellicole in cui ha recitato, uno dei massimi capolavori rimane “Casablanca”, opera del 1942, in cui Boogie affiancava una splendente Ingrid Bergman, in un melodramma d’amore, ambientato in tempo di guerra. Quel film è diventato un esempio perfetto di film classico: cioè un film voluto fortemente da uno studio (la Warner Bros, che in quegli anni realizzava pellicole a sostegno dell’intervento bellico degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale) e girato tutto negli interni dei set di proprietà della casa di produzione, un film che si basa essenzialmente sull’attrattiva dei due divi protagonisti (tanto che pochi si ricordano che il regista è l’europeo Michael Curtiz) e un film che risponde ai dettami del genere a cui appartiene. “Casablanca”, anche per uno studioso come Umberto Eco, era un vero e proprio “must” del cinema, che emoziona e coinvolge ad ogni nuova visione, perché “quando gli archetipi irrompono senza decenza, si raggiungono profondità Omeriche. Due cliché fanno ridere, cento commuovono”. Il cinema contemporaneo è sicuramente debitore di quella pellicola con il grande Bogart, amante sfortunato della virtuosa Ingrid Bergman, che alla fine rinuncerà a lei per un bene maggiore (combattere il nemico nazista), e tantissimi film contemporanei lo citano direttamente o indirettamente. E’ quello che fa, direttamente, “Allied”, pellicola girata da Robert Zemeckis (il regista di “Forrest Gump”) e interpretata dai due divi contemporanei Marion Cotillard e Brad Pitt.

Nel Marocco del 1942, la spia canadese Max Vatan e la spia francese Marianne Beauséjour sono complici in una missione: loro malgrado s’innamorano e Marianne accetta di sposare Max e andare a vivere con lui a Londra. Qualche tempo dopo, quando hanno dato luce a una bambina, il trauma: il comando avvisa Max che Marianne potrebbe essere una spia tedesca. Il cuore non accetta. Dove sarà la verità?

Il film, dunque, è ambientato a Casablanca nel 1942, come il suo predecessore, può sfruttare l’interpretazione di due grande icone dei nostri tempi e si aggrappa al genere (di guerra e melodramma) per strutturare una narrazione tradizionale, basata sul susseguirsi degli eventi, cronologicamente e logicamente connessi. In questo senso, il film potrebbe sembrare una “copia” della pellicola di Curtiz (tenendo anche conto del fatto che la prima parte, quella ambientata proprio nella città africana è tutta ricostruita negli studios). Ma non è così, manca qualcosa, qualcosa che è essenziale. Manca la magia, manca quella “profondità omerica” di cui parlava Eco e che il film con Bogart riusciva a raggiungere mentre “Allied” non riesce neanche a sfiorare. Zemeckis è un ottimo regista e certo la pellicola è ben girata, perfetta l’ambientazione, i costumi, la fotografia. Ma qualcosa non funziona: a partire dall’alchimia fra i due protagonisti (che non c’è), al fatto che il film del ’42 era strettamente legato al periodo storico in cui è stato realizzato (parlava della guerra mondiale in atto), al fatto che il cinema contemporaneo non è più in grado di offrirci storie che parlano di valori positivi e che siano credibili. E’ un peccato, perché abbiamo ancora e sempre bisogno di opere che sappiano proporre esempi di uomini e donne positive, morali, magari riluttanti all’inizio (come il “good-bad boy” Bogart), ma che poi sanno fare la scelta giusta.