Mezzogiorno: si va via per sempre

Un rapporto rivela: i nuovi emigranti partono senza la speranza di ritornare al Sud

Il fenomeno è senza precedenti. Non è neanche paragonabile al fenomeno delle migrazioni che interessò il Sud italiano nell’Ottocento e nella seconda metà del Novecento verso altri Paesi e le regioni settentrionali del nostro Paese negli anni ‘50 e ‘60, quelli del “miracolo economico”. L’abbandono del Sud – certificato dalla ricerca “L’arte di spostarsi. Rapporto 2014 sulle migrazioni interne in Italia”, curata da Michele Colucci e Stefano Gallo, dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm – Cnr) – è drammatico, perché non contiene la speranza di ritornare nei luoghi d’origine. Quella che serbavano i migranti di una volta. E’ un abbandono che si può considerare definitivo, frutto dell’esasperazione, di decenni di degrado di ogni tipo, rimasto inaffrontato dalla politica.

È un tema al quale non si bada, perché ampiamente offuscato dall’ondata delle migrazioni che provengono dall’esterno, che nessuno è in grado di fronteggiare e governare. Figurarsi se si è capaci di comprendere le dinamiche che costringono oltre un milione e mezzo di persone, tante sono quelle stimate nel 2012 – per lo più badanti, braccianti, professori, studenti – che si sono spostate dal Mezzogiorno, cambiando il loro comune di residenza, non solo in cerca di lavoro, come avveniva in passato, ma di una qualità della vita migliore e più dignitosa. Quest’ultimo è l’elemento che caratterizza più di ogni altro le migrazioni interne del terzo millennio rispetto a quelle del primo e secondo dopoguerra, a conferma del fatto che nel Sud non si vive solo il “deserto industriale”, ma anche quello “umano”. I ricercatori hanno del resto sottolineato che i dati rilevati sono sovrapponibili alle rilevazioni condotte dal “Sole 24 Ore” e da “Legambiente” sulla qualità urbana e sui servizi.

Rispetto alle migrazioni del passato, le regioni di “accoglienza” non sono più, in maniera preponderante, il Piemonte e la Lombardia, ma sono divenute l’Emilia-Romagna – con tre province che spiccano, nell’ordine Bologna, Rimini e Parma – e il Trentino Alto Adige, in proporzione alle dimensioni, mentre va a Napoli e alla Campania il “primato” dei migranti interni: nel biennio 2011-2012 sono circa 25mila i cittadini campani che si sono trasferiti in altre regioni italiane, un dato pari al -4,3 su mille abitanti. Seguono la Puglia, la Sicilia e la Calabria. In proporzione ai residenti, i saldi negativi più elevati si registrano a Napoli, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Caltanissetta, Foggia e Crotone.

Sono gli stranieri a spostarsi in proporzione maggiore: sono stati ben 258.871 nel 2012 a cambiare residenza, con un tasso di mobilità di tre volte rispetto agli italiani. Le donne straniere tra i 50 e i 64 anni, in particolare, presentano tassi di mobilità elevatissimi, legati al lavoro di cura e domestico.

Un altro settore in cui la manodopera migrante è determinante è l’agricoltura – per eccellenza, un comparto che dovrebbe essere trainante per il Sud – e coinvolge, come regioni di partenza la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia e come regione d’arrivo, il Piemonte. C’è poi da sottolineare un “fenomeno nel fenomeno”: quello degli insegnanti e degli studenti universitari che emigrano e che per la maggior parte restano nelle regioni d’arrivo. Anche e soprattutto così, nel Sud muore la speranza nel domani.