Messo in sicurezza il campanile del monastero “Santa Caterina” a Scai

A dispetto dei malumori e del «qui non si muove niente», nelle aree del sisma la Chiesa di Rieti è fortemente impegnata nella cura dei beni culturali e religiosi. Un’azione che sta portando la diocesi a svolgere interventi di messa in sicurezza e conservazione ovunque è possibile. Il tutto con l’idea di coinvolgere le comunità locali

C’erano circa 20 ospiti nel monastero “Santa Caterina” di Scai quando lo scorso 24 agosto la terra ha cominciato a tremare. Tutti salvi, per fortuna: l’edificio non ha riportato molti danni. Era già stato ricostruito con buoni criteri nel 1950, dopo il terremoto del Gran Sasso. Una lezione messa probabilmente a frutto anche tenendo a mente un altro sisma: quello che nel 1657 buttò giù il complesso, riedificato poco dopo.

Il susseguirsi delle scosse di questi mesi ha però compromesso il campanile della chiesa. Già i fenomeni del 24 agosto avevano provocato qualche crepa. Il sisma del 30 ottobre aveva avviato ulteriori complicazioni, evidenziate dalla caduta di qualche concio. Ma è stato il terremoto del 18 gennaio rendere la situazione pericolosa, spingendo la diocesi a mettere in sicurezza il manufatto. Anche perché nel piazzale su cui affacciano sia la chiesa che il monastero, è stato installato uno dei moduli abitativi forniti dalla Caritas.

L’intervento è iniziato all’indomani delle forti scosse di inizio anno, nei giorni in cui la neve ad Amatrice si misurava in metri. Aperta una strada nella spessa coltre bianca, la squadra per il sisma dell’Ufficio Tecnico diocesano ha portato a casa il rilievo. Dopo una settimana, sentiti i vigili del fuoco, la diocesi ha ideato l’intervento e chiesto il parere del ministero dei Beni Culturali, vista la necessità di modificare il manufatto. La risposta, positiva e veloce, ha permesso all’Ufficio Tecnico di selezionare una ditta e portare a termine l’intervento. Una decina di giorni in tutto.

Oggi, guardando il campanile si capisce che manca la parte più alta, ma la torre è salva. E le pietre smontate sono state accantonate in un luogo protetto all’interno del monastero, messe al sicuro per essere rimontate appena possibile.

È stato questo il primo di una serie di interventi che la diocesi sta progettando e ai quali si darà corso nelle prossime settimane. Al momento ce ne sono una decina in fase di progettazione. Il secondo cantiere dovrebbe partire la prossima settimana. Le priorità sono decise tenendo conto delle diverse situazioni. Ad Amatrice e Accumoli si guarda soprattutto alla salvaguardia dei beni. Al di fuori di quest’area le scelte sono mediate dal bisogno di riaprire le chiese al culto.

Gli interventi sono finanziati dalla Cei con un fondo speciale di 300mila euro messo a disposizione delle diocesi colpite dal terremoto. Ci sarebbe anche la possibilità di accedere a fondi pubblici. Sono quelli stanziati dallo Stato per le messe in sicurezza in emergenza su beni vincolati che non coinvolgono la pubblica incolumità. Ma al momento la Chiesa di Rieti procede senza guardare a queste risorse. La direttiva riguarda pochi edifici, essenzialmente i santuari, perché isolati, lontani dalle case e non immediatamente affacciati sulla strada.

Adottare una chiesa in ogni comunità

Piuttosto la diocesi guarda alla possibilità di condividere con la popolazione il processo della ricostruzione, lasciando alle singole comunità la possibilità di “adottare” una chiesa. Al di là dell’aiuto economico, la strategia punta a individuare quelle chiese che stanno particolarmente a cuore alle persone, in modo da indirizzare al meglio gli interventi. Coprire per intero il costo dei lavori, vedendo le proprie risorse integrate dalla generosità dei fedeli, potrebbe mettere la diocesi in condizione di svolgere le opere di recupero in un clima di partecipata autonomia. Nei casi in cui gli interventi saranno affiancati dai finanziamenti pubblici, sarà invece lo Stato a condurre i lavori.