Memoria e trasmutazione: festeggiato il Corpus Domini in Cattedrale

A distanza di un’ora l’una dall’altra, due riflessioni sulla memoria – una appena accennata, una un po’ più articolata – sono affiorate sulla bocca di due pastori. Quella più articolata, la seconda in ordine di tempo, è uscita dalla bocca del pastore della Chiesa universale, papa Francesco, che in piazza San Giovanni in Laterano ha individuato nel comandamento «Ricordati» il cuore della solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: «La memoria – ha detto il pontefice – è importante, perché ci permette di rimanere nell’amore, di ri-cordare, cioè di portare nel cuore, di non dimenticare chi ci ama e chi siamo chiamati ad amare. Eppure questa facoltà unica, che il Signore ci ha dato, è oggi piuttosto indebolita. Nella frenesia in cui siamo immersi, tante persone e tanti fatti sembrano scivolarci addosso. Si gira pagina in fretta, voraci di novità ma poveri di ricordi. Così, bruciando i ricordi e vivendo all’istante, si rischia di restare in superficie, nel flusso delle cose che succedono, senza andare in profondità, senza quello spessore che ci ricorda chi siamo e dove andiamo. Allora la vita esteriore diventa frammentata, quella interiore inerte».

Prima in ordine di tempo, la riflessione appena accennata ma non per questo meno pregnante è venuta invece dal pastore della Chiesa reatina, mons Domenico Pompili, il quale, in inconsapevole consonanza con il Santo Padre, ha aperto così la sua omelia nella Basilica Cattedrale: «La smemoratezza è un tratto saliente del nostro tempo, che rischia di dimenticare ciò che è essenziale. Che cosa? Che l’uomo non è solo ciò che mangia. Il suo slancio vitale va ben oltre il soddisfacimento dei bisogni materiali; anzi, laddove la pancia è piena, si fa strada una tristezza che rasenta la paralisi».

Mentre Bergoglio ha poi continuato sviluppando in chiave teologica il tema dell’Eucaristia «memoriale dell’amore di Dio», le parole del vescovo Domenico hanno virato più sul sociologico a partire dal dato della scarsa attenzione che l’uomo odierno riserva all’essenziale. La domenica cristiana soppiantata dalla corsa generalizzata allo shopping nei centri commerciali è stato lo spunto: «L’uomo non è fatto solo per consumare. L’uomo è un essere del desiderio. L’uomo soddisfatto, anzi, è depresso. L’uomo in ricerca, invece, è inquieto». E non è mancato un riferimento alla tragedia della Grenfell Tower di Londra, con il vescovo che ha citato le ultime parole di Gloria, una delle vittime italiane dell’incendio, al telefono con la madre: «Mamma, mi sono resa conto che sto morendo. Grazie per quello che avete fatto per me. Sto per andare in cielo, vi aiuterò da lì». Don Domenico ha voluto cogliere in questo straordinario ed estremo sussulto di chiarezza interiore una controprova di come spesso proprio i giovani, ossia coloro dai quali meno ci aspetteremmo simili slanci, conservino la capacità di rammentare l’«essenziale», di andare oltre una certa superficialità imperante.

Ai cristiani, del resto, il monito a trascendere l’effimero giunge proprio dal Maestro: «Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita» (Gv 6, 53). Sono parole vertiginose e sulle prime alquanto oscure, che dovrebbero suscitare scandalo, nel senso evangelico del termine, e invece provocano soltanto assuefazione, quasi che il mangiare e bere l’Eucaristia sia per noi un fatto scontato, un rito da ripetere sempre uguale a se stesso. All’opposto, partecipare del Corpo e Sangue di Cristo non è un atto esteriore, bensì il volano di un’eccezionale «trasmutazione, per cui non siamo noi che assimiliamo nel nostro corpo questo cibo, ma è quest’ultimo che ci trasforma in se stesso. Se ciò non accade, non viene meno la presenza reale di Cristo, ma viene meno l’effetto di questo reciproco dimorare, che dovrebbe rendere ciascuno di noi di un’umanità diversa, di una pasta assolutamente originale».

A spiegare quel cambiamento interiore, che produce sempre una trasformazione esteriore, è l’apostolo Paolo nella seconda lettura proposta dalla liturgia del Corpus Domini: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1 Cor 10, 17). Ma questo è vero nel tempo presente? In realtà, ha affermato il vescovo, «oggi una ristrettissima parte detiene il pane della gran parte. Occorre invece che avvertiamo lo scandalo di questa situazione», a cominciare anzitutto dalla realtà del territorio reatino. A tale proposito, mons Pompili non si è astenuto dal compiere una rapida incursione nella vicenda elettorale che interessa Rieti in queste settimane: «Se è legittimo dal punto di vista democratico dividersi tra due, è assolutamente prioritario, però, che tutti si stia sempre dalla stessa parte quando si tratta di difendere gli interessi vitali del territorio». E se questo vale per il secolo, ovviamente è ancora più vero per la Chiesa, «che è tanto più credibile ed efficace quanto più è capace di mostrarsi unita, coesa, orientata e convergente verso lo stesso scopo, che è l’annuncio del Vangelo».

Ma perché questo accada, perché il pane sia veramente di tutti e noi siamo finalmente un corpo unico e non dilaniato o, peggio, fatto di membra contrapposte, «è necessario tornare al pane che viene dal cielo, al pane che ci dona Gesù. È un pane singolare, che non si prende, ma si riceve; che non si conserva, ma si mangia; e questa è la strada che si deve percorrere insieme».

Al termine della santa messa si è come sempre snodata per le vie del centro storico la processione eucaristica, al termine della quale, di ritorno in Cattedrale, il vescovo ha benedetto l’assemblea con il Santissimo Sacramento. L’animazione musicale del corteo è stata assicurata dalla banda musicale «Città di Rieti», mentre le infiorate in piazza Cesare Battisti sono state realizzate dalle varie associazioni rionali e dalle confraternite della città, cui va il ringraziamento della diocesi per la disponibilità e lo splendido lavoro svolto.