La luce divina delle vetrate

Le caratteristiche fondamentali dell’architettura gotica

Una delle caratteristiche fondamentali dell’architettura gotica fu senza dubbio la luce, tanto per la sua valenza estetica, quanto per il significato simbolico che essa rappresentava; in una perfetta sintesi tra filosofia neoplatonica e spiritualità agostiniana: la luce diveniva simbolo terreno della presenza divina. In quest’ottica ebbero una funzione fondamentale le vetrate: sotto il profilo architettonico ‘svuotavano’ la massa muraria degli edifici religiosi donando leggerezza e slancio verticale, mentre sotto il profilo teologico le vetrate rappresentavano una sorta di ‘pittura di luce’, che poteva essere diretta e pura, colorata o sfumata e filtrata dalla sottile rete degli elementi metallici. Uno dei primi e più significativi esempi sono le finestre, ben quattordici, del deambulatorio della cattedrale di Saint Denis in Francia, capaci di irradiare la zona presbiterale attraverso una diffusa e variegata luminosità, e svolgendo allo stesso tempo la funzione di guida nel cammino del fedele. L’abate Suger, il grande innovatore dell’architettura gotica nonché costruttore di Saint Denis, proprio in riferimento alle vetrate del deambulatorio parlò con entusiasmo di “lux mirabili et continua”.
Con lo sviluppo della cattedrale gotica ebbe di conseguenza un’ampia diffusione l’arte della vetreria e, in questo contesto, fu fondamentale lo sviluppo di un artigianato sempre più competente e specializzato, capace tanto di ricercare nuove tecniche di colorazione, come il placcaggio, la grisaille e soprattutto il cosiddetto giallo d’argento, quanto di saper creare con grande maestria complesse strutture compositive. La vetrata, irradiata dalla luce solare, assumeva i contorni e le valenze espressive di un esaltante mosaico luminoso, divenendo espressione stessa di una nuova arte figurativa, ovvero di una di pittura di luce che univa l’arte del disegno e la tecnica del vetro. La Sainte Chapelle a Parigi, realizzata tra il 1243 ed il 1248, rappresenta uno dei più esaltanti esempi di questa architettura di luce: in questo edificio gli elementi portanti e le strutture murarie sono ridotte al minimo al fine di esaltare il fascino delle vetrate, la chiesa assume così la valenza di una struttura leggera e vibrante.
Di grande importanza fu il contributo dell’area germanica nello sviluppo di quest’arte, infatti ai tedeschi va il merito di aver saputo combinare le raffinatezze delle tecniche francesi con le capacità decorative dell’antica arte degli smalti, con un maggiore decorativismo ed esaltazione del colore. Ed è tedesco uno dei primi artisti di cui si conosce il nome, il Maestro Gherlacus, che realizzò le storie di Mosè presso lo Städelsche Kunstinstitut di Francoforte. In quest’opera si può notare una caratterizzazione in senso romanico dei personaggi, molto ieratici e dai tratti duri, ma ancora più particolare è la concezione del colore dove è lo smalto di tradizione mosana a dare espressività. Tedeschi sono anche i moduli linguistici delle più antiche vetrate presenti nella Basilica superiore di Assisi.
Benché in Italia quest’arte arrivò in ritardo rispetto al nord Europa, trovando un completo sviluppo solo nel XIV secolo, i maestri italiani furono capaci di realizzare un linguaggio figurativo che avvicinava la tecnica della lavorazione del vetro alla pittura. Il Duomo di Milano rappresenta un emblematico esempio in questo senso: intorno agli anni venti del Quattrocento vi lavora uno degli artisti più importanti del gotico internazionale: Michelino da Besozzo che, nella fabbrica milanese, assunse vari incarichi da sovraintendente ai lavori a giudice di perizie, e nei documenti l’artista viene indicato come pittore sommo e maestro dell’arte delle vetriere. L’artista riuscì infatti a trasformare i finestroni del Duomo in una sorta di libretto narrativo cortese con le sue realizzazioni che sembrano uscite da una punta metallica.