LIBRI / L’indicibile che diventa racconto. Una scrittrice narra la storia di Etty Hillesum, vittima della barbarie nazista

“La terapia non è necessaria per la vita, l’acqua e il pane sono necessari, ma in alcuni casi di dolore psichico la terapia è indispensabile. L’amore è indispensabile”.
In queste poche parole c’è tutta la sostanza della donna narrata dalla scrittrice Lucrezia Lerro in “Il contagio dell’amore” (San Paolo, 173 pagine), Etty Hillesum. Una vittima del nazismo, quindi, divenuta in questi anni soggetto privilegiato di indagini letterarie, storiche e psicoanalitiche. Come recita il titolo Lerro prende spunto da uno degli elementi forti della breve esistenza di Hillesum, il suo rapporto, dapprima di paziente e poi di collaboratrice e confidente, con Jiulius Spier, psicanalista allievo di Jung e nello stesso tempo creatore della psico-chirologia, vale a dire la conoscenza della personalità attraverso lo studio delle linee della mani.
Lerro trasforma in racconto una storia complessa e immersa totalmente nello spirito del tempo: la prima parte di un Novecento in cui coesistevano materialismo nichilista e nuovo spiritualismo, Freud con il suo tentativo di gestire l’ingestibile inconscio e l’irrazionalismo nazista che portava a estreme conseguenze l’affermazione del sé, Darwin e Nietzsche, Marx e Schopenhauer. Non solo. Se ci fermassimo a questo elenco avremmo una piccola approssimativa idea di quel momento, perché la vita non è fatta unicamente di grandi sistemi di pensiero e di semplificazioni storiche, ma di sentimenti, di paure, di stati d’animo, di storie familiari e di sogni che rendono unica e in realtà indicibile ogni esistenza. E Lerro mostra di saperlo, perché in questa storia privata e vera, diventata Storia maiuscola a causa di un altro evento – non davvero dicibile fino in fondo come l’annientamento di interi popoli, compresi i bambini -, appare tutta l’incomprensibilità dell’essere. Etty vive traumaticamente i litigi dei genitori, coglie l’essenza nevrotica che vanifica le possibilità di aprire gli occhi sull’altro, ama un uomo sposato e molto più vecchio di lei, affronta, e a quei tempi non era cosa facile, l’esperienza della cura psicoanalitica con il carismatico Spier. Ne nasce un rapporto che potremmo chiamare, con la solita opacità delle parole, ambiguo: certamente il transfert del paziente sullo psicologo, ma anche un effetto di ritorno inatteso, con l’attenzione, anche affettiva, da parte dell’analista.
Lerro si pone l’obiettivo di narrare una storia, anzi, un intrico di storie, fatte di umori, nervi, pensieri sfuggenti e instabili, terrori, affetti, dove a complicare abissalmente tutto arriva l’inspiegabile allo stato puro: il treno stipato, il campo di raccolta di Westerbork e poi altri treni con la destinazione terminale, in ogni senso. Il marchio “criminale” di chi viene buttato su quei treni non è l’aver commesso un atto illecito, ma l’esistere puro e semplice. L’autrice coglie un altro fondamentale elemento della complessa personalità di Etty, la persistenza della mistica divina, della ricerca di una comunione con l’altro-da-sé dentro e fuori una storia incomprensibile: “Arrivarono le parole che scavarono un tunnel di verità, che per lei seminarono amore, che scovarono Dio nell’angolo più nascosto del giorno”.