Lettera a Giovanni Battista: «che cosa dobbiamo fare?»

Caro Giovanni,

anche in questo Avvento la tua figura e la tua parola ci accompagnano nel cammino verso l’evento salvifico del Natale. Nel Vangelo di Luca sei presentato di fianco a Gesù come se fosse una corsa a due per farci scoprire chi è il Messia. In questa ottica di antagonismo e carrierismo siamo talmente immersi da esserne seriamente nauseati, anche all’interno della Chiesa. Forse è nostro desiderio poter essere liberati dalla pesantezza della preoccupazione, della rivalsa, del primo posto, del superfluo che ha ostinatamente preso il timone, fino a scalzarci dalla nostra stessa vita.

Il tuo andare attraverso il territorio giudeo con la sola ricchezza della parola profetica ci scuote fortemente e ci fa sentire ancora piccoli nella vita di fede. La durezza e schiettezza delle tue parole ci fa sobbalzare e ci scrolla dall’idea di sufficienza nel nostro operare quotidiano. Chi potrebbe guardarti negli occhi e negare che quell’eco desertica giunge fino alle midolla delle nostre ossa e ferisce il nostro cuore tronfio?

Alle folle hai detto: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente?». Quanto vorremo uscire da quella folla così duramente sferzata e passare alla tua riva, sentendoci meno distanti dal regno di Dio, da quel regno che hai creduto potesse usare la scure per tagliare l’albero che non porta frutto. Quella tua convinzione sarà ridimensionata proprio da Gesù che adotterà un nuovo criterio per l’annuncio del vangelo: Amore. Eppure la folla ti ascolta e ti interroga. Tutti portavano in cuore domande, interrogativi, desideri, angosce, speranze, progetti… proprio come l’uomo di ogni tempo, e noi oggi.

Quanto traffico caotico è presente nel nostro cuore! Quante luci abbaglianti illuminano in modo violento la nostra mente, togliendoci spesso la capacità di riconoscere i contorni di ciò che ci sta intorno e che è veramente importante. Verremmo come quella gente a chiederti: «Cosa dobbiamo fare?». Ti chiederemmo: «Cosa possiamo fare» noi che siamo così distanti dalla sobrietà della Parola di Dio, noi che siamo più propensi a parlare che ad ascoltare, noi che spesso ci sentiamo lacerati da una vita che non ci sembra tutta nostra? La nostra tentazione, come per le persone di allora, è quella di trovare qualcuno che ci dica precisamente cosa fare e come fare per sentirci «a posto»!

È la tentazione di ogni persona: avere qualcuno che la guidi fin nei più piccoli passi togliendole il peso di poter sbagliare e di doversi correggere. Giovanni, hai riposto alle folle, ai pubblicani e ai soldati non dando delle ricette moralistiche, ma provando ad entrare nella loro concretezza esistenziale ed esortarli ad un presa di coscienza del proprio vivere.

Anche noi abbiamo bisogno di essere spronati ad uno sguardo più profondo sui nostri giorni e per questo veniamo da te. Non vogliamo ricette facili per sentirci buoni cristiani, ma vogliamo camminare con te nel cammino impegnativo e profondo della vita evangelica. Vogliamo avere uno sguardo di misericordia e di attenzione verso gli ultimi, chiediamo di poter essere sensibili verso la giustizia, invochiamo di convertire il nostro cuore per i bisogni dei più deboli, presentiamo la nostra sete di indigenti e bisognosi di sostegno.

Troppo spesso leggiamo la finale della pericope evangelica come un tuo gesto di umiltà, di offerta, di immolazione per chi hai scoperto più importante. Perdonaci per questa ingenuità! In verità sappiamo che lo dici e lo fai perché lo credi vero, lo ritieni connaturato al riconoscimento di se stessi, alla presa di coscienza di chi si è. Se tu avessi detto al popolo che eri il Messia ti avrebbero creduto e acclamato come tale.

Ma non sei un uomo amante delle maschere, tantomeno di quelle indossate usando il nome di Dio e l’entusiasmo del popolo. Hai avuto il coraggio di rivelarti senza adombramenti e prendere sul serio il tuo essere “battistrada” che tira la volata al capitano. Grazie Giovanni. Noi avremmo fatto fatica a non cavalcare quell’entusiasmo della folla e quella ingenuità bambinesca. Il “fuoco inestinguibile” ti aveva già irrimediabilmente ustionato durante la visita di Maria a tua madre, quando per il rovente calore di grazia tremasti e sussultasti nel ventre materno.

Caro Giovanni, guidaci con i Tuoi insegnamenti e la Tua grazia.