L’eredità. Memoria tradita, ma da ritrovare

In questa intervista il vescovo Monari ricorda l’attualità del Pontefice bresciano. E, in particolare, si sofferma sulla dimensione spirituale di Giovanni Battista Montini.

Nella Populorum Progressio Montini introduceva il concetto di “sviluppo nome nuovo della pace”. L’attualità ci rimanda a tristi scenari o, parafrasando Francesco, ci porta a una terza guerra mondiale… Ne parliamo con mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia.

Eccellenza, gli insegnamenti di Paolo VI sono stati dimenticati?
Il tema fondamentale della pace e dello sviluppo come strada necessaria per arrivare alla pace è evidentemente da cogliere pienamente. Si tratta di realizzarlo… L’altra intuizione feconda, capace di illuminare il nostro cammino, è che il futuro della nostra civiltà è legato alla scelta dell’amore. Non siamo ancora riusciti, e questo ci tormenta, a creare dei veri legami di conoscenza e di reciprocità tra le diverse esperienze umane: le culture sono molte e diverse. Un tempo le culture erano in qualche modo autonome, oggi la loro intersezione è un fatto inevitabile. Abbiamo davanti una sfida complicata, quella di mettere in dialogo le culture diverse senza umiliarne una per esaltare l’altra, riuscendo a rendere feconde le une con l’apporto delle altre. Dietro deve esserci, però, una concezione dell’uomo. Se non ho una visione di cosa sia l’uomo e verso quale traguardo possa muoversi, faccio fatica a mettere in relazione le diverse culture, rischio che l’accostamento sia solo uno scontro di civiltà. Serve un’antropologia corretta e condivisibile… Ci vorrà del tempo, della fatica e della sofferenza per arrivare a questo.

Il Collegio cardinalizio ha riconosciuto l’intercessione di Montini per la guarigione miracolosa di un feto di cinque mesi. Un altro tema caro a Paolo VI era quello della vita ben espresso dall’enciclica Humanae Vitae…
Nell’Humanae Vitae Paolo VI era, soprattutto, preoccupato di fare in modo che sessualità, amore e procreazione fossero collegate tra di loro. Uno dei nostri drammi è che queste realtà si sono separate le une dalle altre. La sessualità è percepita come un’attività dell’uomo non legata all’amore e idem per la procreazione; la gestione della sessualità può essere vissuta senza la responsabilità di mettere al mondo dei figli e adesso succede anche il contrario: il mettere al mondo dei figli viene fatto fuori dalla sessualità. Questo è un impoverimento dell’esperienza umana. La sessualità diventa un esercizio muscolare, l’amore diventa un sentimento vago che fa meno riferimento all’impegno quotidiano, la procreazione diventa un’azione tecnologica in cui la dimensione umana del progetto e della speranza sembrano meno presenti. Temo che questo produca un’esperienza umana frammentata e tendenzialmente schizofrenica. Il futuro può creare alle persone sofferenze psicologiche notevolmente pesanti; in questa frammentazione la percezione di quello che siamo diventa difficile da tenere insieme. Il messaggio dell’Humanae Vitae è straordinariamente moderno, purtroppo ha avuto una brutta storia di accoglienza. Non era ancora letta del tutto e i cannoni sparavano da tutte le parti… L’esperienza dei mesi successivi alla pubblicazione dell’Humanae Vitae è un’esperienza brutta, di rifiuto, di accuse anche cattive. Non è facile recuperare. Il tema del riuscire a unire amore, sessualità e figli è fondamentale: il futuro della nostra società dipende molto da questo.

In questa intervista stiamo toccando molti temi di attualità legati al Papa bresciano. Perché, allora, nella Chiesa, anche diocesana, e fuori dalla Chiesa non abbiamo fino in fondo memoria di Paolo VI?
Qualcuno dice che Paolo VI non sia una figura semplice da comprendere. In realtà, se uno ripercorre le cose che ha detto e che ha fatto, si accorge che non sono oscure e che appaiono molto chiare. C’è stata una specie di censura nei suoi confronti e nei confronti del suo insegnamento. La censura era legata alla fine degli anni Sessanta e agli anni Settanta: sono stati momenti di crisi e di trasformazione del mondo occidentale dal punto di vista della percezione di se stessi e di apertura al futuro. Basterebbe pensare alla rivoluzione sessuale da una parte, alla rivendicazione delle donne dall’altra, ad alcune scelte politiche per noi rivoluzionarie tipo il divorzio e l’aborto; sono state tutte realtà che esprimevano la fatica di un mondo che stava cambiando in profondità. Secondo me con delle scelte profondamente sbagliate… Un messaggio come quello di Paolo VI era percepito come un messaggio che disturbava, che non teneva conto dei problemi veri. C’è stata una specie di damnatio memoriae nei confronti di Paolo VI. Ora siamo nella condizione di poterlo recuperare più facilmente, perché adesso le animosità sono scomparse così come le tante stupidità di quegli anni. Possiamo guardarlo con occhi più semplici. Possiamo apprezzarlo. Paolo VI era straordinario nei gesti: l’incontro con Atenagora a Gerusalemme, l’incontro all’Onu, l’incontro con il Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra e l’incontro con i Delegati delle Chiese di Oriente. Sono tutti gesti intensi dal punto di vista umano. Non so quanti si ricordino che Paolo VI si è inginocchiato e ha baciato i piedi all’arcivescovo Melitone. Sono gesti eloquenti che dicono molto del suo animo, dell’umiltà con cui ha vissuto il suo servizio. E questo l’uomo di oggi lo potrebbe apprezzare molto. Se uno apprezza papa Francesco, dovrebbe riuscire ad apprezzare Paolo VI. Penso ad esempio alla visita di Paolo VI in India, nelle Filippine e nei quartieri poveri delle città.

Ci avviciniamo, eccellenza, al Convegno ecclesiale di Firenze in programma il prossimo novembre 2015. “In Cristo uomo nuovo” possiamo rileggere la “Chiesa esperta di umanità” cara a Paolo VI. Di fronte alla crisi valoriale, viene riconosciuto da più parti il ruolo della Chiesa. Dove deve migliorare, però, la Chiesa per continuare a essere esperta di umanità?
Bisogna dare più spazio di parola e di responsabilità ai laici. Il vissuto dell’uomo contemporaneo rispetto al vissuto dell’uomo medievale è infinitamente più secolare: l’uomo di oggi vive il 90% della sua vita in cose secolari (economia, famiglia, sport, divertimento…). Ma le attività secolari hanno qualcosa a che fare con la fede? Se la fede riguarda solo i gesti religiosi, il 90% del vissuto delle persone è fuori dalla fede. Dal punto di vista cristiano, la fede anima tutto il comportamento dell’uomo, anche il comportamento secolare. Un cristiano vive la sua fede e il suo rapporto con Dio nel modo in cui vive il rapporto in famiglia, nel modo in cui vuole bene a sua moglie e ai suoi figli, nel modo in cui lavora e si assume delle responsabilità sociali, politiche e culturali. Bisogna che questo vissuto sia animato dalla fede. Come il vissuto secolare è animato dalla fede, me lo può dire solo chi fa l’esperienza secolare… Io posso dirgli che cos’è il vangelo, ma che cosa voglia dire essere banchiere e credere in Gesù Cristo deve dirmelo il banchiere cristiano… È possibile? Lui si confronterà con la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro e mi dirà come riesce a mettere insieme il Vangelo in cui crede con il mondo in cui lavora. Solo così posso dire anche agli altri banchieri che la fede non è estranea ai loro impegni e alle loro responsabilità, a condizione che vivano gli impegni e le responsabilità secondo i parametri che suggeriscono i banchieri cristiani, se ci sono…

Quando parliamo dei Pontefici, eccellenza, ci soffermiamo più sulle azioni e sugli scritti, meno sulla loro dimensione spirituale. Paolo VI aveva un rapporto profondo con la preghiera. Quanto può essere importante la preghiera per l’uomo secolarizzato?
È fondamentale. La sanità delle esperienze secolari è legata alla trascendenza dell’uomo. Bisogna che l’uomo abbia coscienza di essere più grande delle cose che produce e consuma. Deve vivere la trascendenza. La preghiera porta lì, mi mette in rapporto con un Dio che non è il mondo e che non si identifica con il mondo, un Dio che è un “tu” che sta davanti al mondo e con il quale il mondo è chiamato a confrontarsi. Quando il mondo si confronta con Dio, è costretto a superare se stesso. La preghiera è uno stimolo straordinario. La spiritualità di Paolo VI è profonda e intensa. Rispetto al tipo di vita straordinariamente attiva, si è portato dentro un desiderio di contemplazione sincero e intenso che viene fuori in alcune sue espressioni, in alcune sue preghiere. Ha fatto delle cose con la consapevolezza profonda di come queste fossero radicate nel centro della persona e nel rapporto di questo centro della persona con Dio.

Cosa c’è di Paolo VI nell’uomo Monari?
Nei confronti di Paolo VI provo rispetto, affetto e meraviglia. C’è anche il desiderio di poterlo imitare. Credo per lo stupore, la meraviglia e l’apprezzamento straordinario che Paolo VI ha avuto per le espressioni della cultura umana: per l’arte, per la letteratura… Questo stupore ha un po’ il colore di Dio, che quando ha fatto qualcosa, ha detto che era una cosa buona. Partecipare della gioia di Dio per il mondo che ha creato è un atteggiamento che fa bene, che ci arricchisce umanamente e che ci pone in un atteggiamento di fede. E questo Paolo VI l’aveva molto chiaro.

Luciano Zanardini