«L’eredità a Carretta? Una possibilità per lui di rinascita»

Il professor Luciano Eusebi spiega: “Era stato considerato dai giudici di Bologna infermo mentalmente, per questo non vi è stata alcuna confisca dei beni di famiglia, dell’eredità”. E ancora: “Oggi il rischio è di essere indifferenti verso la sofferenza altrui, quando bisognerebbe invece avere pietà per i morti e sperare nel recupero della persona che ha commesso il reato”.

“Voglio solo ricominciare a vivere. Vorrei solo essere dimenticato”. Queste le parole del cinquantenne Ferdinando Carretta, l’uomo che negli anni ‘80 destò scalpore per aver ucciso i propri genitori e il fratello nella loro casa di Parma in via Rimini. Il movente: ottenere l’eredità di famiglia. Dopo ben nove anni trascorsi nella comunità di recupero “Podere Rosa” e altrettanti sette e mezzo presso un ospedale psichiatrico giudiziario (Opg), si ritrova ad essere un uomo libero nella tranquilla cittadina di Forlì, seppur sempre sotto stretto controllo degli psichiatri. Ora in accordo con la zia Paola, Ferdinando Carretta ha ottenuto una parte dell’eredità in denaro, dopo la vendita della casa di via Rimini. “Ogni volta che esce qualche notizia che mi riguarda – commenta Carretta – e ogni volta che si parla di ciò che è successo sto male”, l’uomo infatti non è stato condannato, perché ritenuto incapace di intendere e di volere. In ogni caso, la notizia della possibilità garantita a Carretta di spendere il denaro riveniente dall’eredità dei suoi genitori, movente del suo delitto efferato, ha impressionato l’opinione pubblica e fatto sorgere tanti interrogativi.

Tra realtà e spettacolarizzazione. Il caso di Ferdinando Carretta è stato uno dei primi esempi di spettacolarizzazione di un fatto di cronaca nera (se si toglie la diretta del povero “Alfredino”). Negli anni ’90 sociologi, giornalisti e opinionisti, si lanciarono su questa notizia. Non attirò l’attenzione il fatto in sé, ma il movente e tutte le conseguenze, che portarono Carretta a confessare l’accaduto con estrema lucidità durante una puntata del programma “Chi l’ha visto” di Rai Tre nel 1999. Ogni sua mossa fu rilanciata dai media nei minimi dettagli. Ecco le parole di Ferdinando Carretta pronunciate tanti anni fa: “Non ero in me, decisi anche di spostare il camper dei miei genitori, con il fine di depistare e dar l’idea che fossero partiti per una vacanza ai Caraibi” versione che è stata ritenuta veritiera per ben nove anni.

Umanizzazione delle pene. A commentare la vicenda è il professor Luciano Eusebi, docente alla facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, il quale precisa: “L’umanizzazione delle pene non è in contrasto con la corretta applicazione della giustizia”. “Oggi assistiamo ad un’insana spettacolarizzazione di casi drammatici, eclatanti – afferma il docente -. Il rischio è di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, la quale sarà sempre più assetata di spettacolo e non della realtà dei fatti. Nel caso di Ferdinando Carretta c’è, ancor di più, la necessità di ricostruire con delicatezza l’accaduto e i recenti fatti riguardanti l’eredità”.

Una nuova società, attenta alle sofferenze.
“Una società fondata sulla ritorsione nei confronti del condannato o del malato non ha futuro. La vera giustizia investe sui progetti costruttivi e volti al bene – prosegue il docente – la giustizia non è una vendetta, non è un rispondere al male con altrettanto male. La vittoria della società è portare il condannato o il malato a rielaborare il delitto. È necessario intervenire con la prevenzione, che è ben lontana dall’intimidazione, ma consiste nel far sì che il cittadino senta le norme, come uno stile di vita quotidiana, che le assimili fino in fondo”. Il professore Eusebi, poi, tiene a sottolineare quanto la spettacolarizzazione di alcuni fatti di cronaca nera siano una finzione rispetto alla realtà, soprattutto a fronte dei 501 omicidi commessi nel 2014, rispetto ai 1700 medi annui tra il 1989 e il 1990. “Piuttosto che fare mala informazione oggi è importante far capire alla società l’importanza fondamentale dei servizi sociali, che vanno incentivati. È grazie a questi se persone come Ferdinando Carretta e tanti altri hanno l’occasione di migliorarsi. Carretta poi non era condannato, ma era stato considerato dai giudici di Bologna infermo mentalmente, per questo non vi è stata alcuna confisca dei beni di famiglia, dell’eredità. Quel denaro potrebbe dare all’uomo in questione la possibilità di rinascere, come da lui richiesto”. “Il Papa in questi ultimi mesi – conclude il professore – ha detto che oggi il rischio è di essere indifferenti verso la sofferenza altrui, quando bisognerebbe invece avere pietà per i morti e sperare nel recupero della persona che ha commesso il reato”.