Le parrocchie al centro del rinnovamento culturale

La crisi economica ha colpito molti aspetti della vita sociale e culturale; e si deve riconoscere che uno degli aspetti più colpiti è proprio la cultura nei suoi molteplici risvolti e a più livelli.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è un vero Ministero “senza portafoglio”, ma nel senso etimologico della parola.

Giustamente si cerca di privilegiare ciò che è più importante, ma ormai e forse per tanti anni a venire non avremo più sovvenzioni e finanziamenti per i piccoli teatri, per le feste di quartiere, per tutte quelle realtà che tra gli anni ottanta e gli anni duemila furono foraggiate dallo Stato.

Furono proprio quelli gli anni in cui cominciò a scemare in modo significativo il ruolo anche culturale delle comunità cristiane, per vari motivi: anzitutto perché iniziarono a sorgere associazioni e organizzazioni che sono state veramente meritorie con scopi culturali e aggregativi; poi perché le parrocchie pensarono di potersi dedicare con più impegno all’evangelizzazione e alla catechesi, come se queste si potessero slegare da un discorso culturale.

Fu il cardinale Ruini negli anni novanta a intuire che bisognava lavorare ad un “Progetto Culturale orientato in senso cristiano”, perché non si può concepire l’evangelizzazione senza un approccio culturale.

In questi anni il Servizio Nazionale per il Progetto Culturale ha promosso molte iniziative volte a sensibilizzare le diocesi in questo senso: musica, teatro, arte, che nella migliore delle ipotesi hanno toccato i centri diocesani, ma non sono riuscite a incidere all’interno della vita delle parrocchie, che si sono sempre più rinchiuse nella semplice amministrazione sacramentale e catechetica in preparazione ai sacramenti.

Secondo alcune indagini, svolte in parrocchie campione, si è potuto verificare che laddove le parrocchie si aprono alle periferie esistenziali, cioè si attivano per aiutare i poveri, i diseredati, gli esclusi, e che promuovono iniziative culturali, musicali, dibattiti, presentazione di libri, confronti su temi di interresse anche religioso, allora la frequenza alla Messa domenicale e alle attività comunitarie aumenta e si stabilizza su livelli accettabili, altrimenti il tracollo è inevitabile.

Questo è proprio il momento adatto perché le parrocchie riprendano in mano il discorso culturale, mostrando un’apertura nuova al mondo e alle esigenze delle periferie esistenziali.

È vero che l’Eucaristia è fonte e culmine, ma appunto per questo non è la sola attività che avviene in parrocchia. È vero che è fonte e culmine, ma non per questo va fatta a tutte le ore e appena ci sono poche persone che rispondono alle formule.

O la Chiesa e le comunità cristiane si riappropriano della dimensione culturale e caritativa oppure l’abbandono della frequenza alla Messa domenicale sarà sempre più pauroso.

Per fare questo ci vuole una grande spinta motivazionale e una grande creatività, una forte capacità di interrogarsi e di fare autocritica sull’operato del passato.

Soprattutto un modo più sanguigno di abitare il mondo, e così come è.

L’attività delle parrocchie non dovrebbe essere considerata alla stregua di schemi prefissati di attività più o meno millenarie, di tipo celebrativo, ma è da reinventare sempre per andare a guardare l’uomo là dove vive e opera, dove lotta e spera, dove soffre e gioisce.

Le parrocchie possono tornare al centro se lo vogliono, ma soprattutto se sapranno prendere coscienza di questa emergenza culturale, che è alla radice di ogni deriva e di ogni abbandono.