Le invasioni “felpate”

Analisi del salotto di Daria Bignardi e del suo approccio politicamente corretto

Ci sono appuntamenti televisivi con programmi che si ripetono di anno in anno, simili a se stessi ma con qualche variazione, giusto per rassicurare gli spettatori e suscitare al contempo la loro curiosità attraverso il restyling. “Le invasioni barbariche” (La7, venerdì ore 21.10) è uno di questi. Il salotto televisivo condotto da Daria Bignardi è un talk show incentrato su quattro “interviste barbariche” ad altrettanti personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura e della politica, che si trovano faccia a faccia con la giornalista e rispondono a domande a tutto campo, apparentemente non concordate e non di rado spiazzanti.

Iniziata nel 2004, la produzione si è interrotta nel 2008 quando la conduttrice è passata a Rai 2 per condurre un format analogo, tornando dopo breve tempo sui suoi passi nell’ottobre 2010 per riprendere la trasmissione, che nel gennaio 2007 è stata insignita del “Telegatto” come miglior programma televisivo nella categoria “informazione e approfondimento”.

È uno di quei pochissimi spazi televisivi in cui la parola torna a essere protagonista e in cui di tanto in tanto si riesce ad andare oltre l’immagine pubblica dell’ospite di turno, per conoscere attraverso la sua confessione a voce alta i lati meno evidenti della sua personalità.

La cifra caratteristica dello stile della Bignardi è un approccio comunicativo “politically correct”, che la vede gestire ogni momento delle lunghe interviste con uno studiato aplomb, con un cortese sorriso e con una sorta di galateo del dialogo alquanto singolari. Il che non le impedisce, peraltro, di affondare il colpo con domande molto dirette ed efficaci, anche grazie al sapiente lavoro di una redazione che la aiuta a documentarsi a dovere sulle biografie degli ospiti.

Che si tratti di personaggi noti o di figure di secondo piano, il filo rosso è la narrazione, inframmezzata di tanto in tanto da esibizioni canore o da incursioni più o meno impreviste di altri figuranti. Nella prima puntata si sono seduti davanti alla conduttrice Matteo Renzi, Valeria Bruni Tedeschi, Fabio Volo, Dario Fo e Mika, il cantante che era anche nella giuria di “X Factor” e che ha improvvisato insieme al Premio Nobel una frizzante rilettura di “Ho visto un re” del compianto Enzo Jannacci. La seconda puntata ha dato parola a Giorgia, Michele Bravi (vincitore dell’ultimo “X Factor”), il duo comico Ale e Franz, Michele Serra, Matteo Salvini, le figlie del ministro Cécile Kyenge, Giulia e Maisha.

Il candido Mika davanti a Daria si è lasciato andare a una frase emblematica, che per certi aspetti riassume l’essenza del programma: “È pericoloso stare qui a parlare con te, perché sembra di essere insieme al bar a bersi un tè e non ci si rende conto di essere in televisione”. In effetti è proprio così, complici le luci di atmosfera basse, una presenza non invasiva delle telecamere e un pubblico in studio che, a differenza di quello che accade normalmente in televisione, è più preoccupato di ascoltare che di farsi notare.

La Bignardi propone ed esibisce una sorta di empatia verso l’ospite di turno, che riesce a rendere interessante anche il dialogo con chi è lì con l’evidente intento di promuovere l’ultimo disco o l’ultimo film di cui è stato protagonista. Televisivamente parlando, il formato funziona e si addice alla serata del venerdì, quando – di rientro a casa dopo una settimana di lavoro – ci si concede per qualche ora un ritmo meno frenetico e più riflessivo rispetto al solito, ascoltando volentieri chi parla (e fa parlare) senza alzare i toni. Anche così, in fondo, si racimola un po’ di audience.