Le chiese dopo il sisma. Il vescovo: «preoccupazione per i beni culturali»

Con il crollo della parete sinistra della chiesa di Sant’Agostino ad Amatrice si fa più forte la preoccupazione per il futuro dei beni religiosi e culturali nei territori colpiti dal sisma. Perché questi edifici sono anche simboli, segni di appartenenza. Tengono unite comunità messe alla prova da difficoltà che sembrano non non trovare fine

Lo scoramento è evidente negli occhi del parroco don Savino D’Amelio: «È un pianto infinito», ha dichiarato a caldo al telegiornale regionale, «non potevo immaginare che sarebbe successo anche questo. È una cosa impossibile da sopportare. Ma ci dobbiamo dare forza».

Parole dure, che trovano eco nel commento del vescovo Domenico: «Abbiamo visto la chiesa di Sant’Agostino cadere un pezzo dopo l’altro: il tetto, l’abside, il campanile, la facciata. Uno stillicidio, mattone su mattone, che provoca quasi un senso di tradimento, di colpevole distrazione. Certo, la terra trema ancora, ma proprio il carattere seriale delle scosse avrebbe dovuto produrre ancora maggiore tempestività e determinazione».

Qualcosa invece non ha funzionato…

È evidente. La diocesi ha sempre monitorato le chiese nel cratere sismico. Il caso di Sant’Agostino non andava neanche segnalato: posta al margine della zona rossa, la chiesa era da assicurare anche come messaggio di una cura efficiente per ciò che rende Amatrice uno dei borghi più belli d’Italia. Quanto è accaduto in questi mesi, nel migliore dei casi, denuncia invece una sorta di miopia. La cura dei beni culturali sembra andare a due velocità: più efficace per i beni mobili, recuperati e conservati con cura e impegno, mentre per gli edifici assistiamo alla quasi immobilità. Questo non sembra accadere nelle altre regioni. Secondo i dati a nostra disposizione, all’inizio dell’anno si registravano solo 8 interventi di messa in sicurezza nel Lazio, tra quelli terminati, in corso e sospesi, contro i 90 delle Marche, i 24 dell’Umbria e i 15 dell’Abruzzo.

Anche sui beni culturali c’è il problema della «burocrazia che fa aspettare le vittime del terremoto», per usare le parole di papa Francesco della scorsa domenica?

Papa Francesco ha colto un punto importante, ha visto cosa non funziona. La burocrazia in sé non è un ostacolo, è un sistema di garanzia. Ma il suo esercizio non è astratto o automatico, dipende dall’impegno delle persone. Il Papa ha chiesto a ciascuno di fare la differenza. Dopo il 30 ottobre la basilica di San Benedetto a Norcia è stata puntellata a dovere, cercando di salvare il salvabile. Le nostre chiese, e non parlo solo di Amatrice, ma anche di Accumoli, Borbona, Cittareale, Leonessa e Posta, sono esposte alle scosse dal 24 agosto senza particolari protezioni. Ci saranno senz’altro delle ragioni, ma a parità di normative si è agito in modo differente.

A guardare la situazione viene quasi un senso di impotenza…

Anche volendo intervenire, come diocesi non ne abbiamo la facoltà effettiva. La competenza sui beni culturali è del ministero. È vero che fin dal primo decreto sul sisma ai proprietari degli immobili era concesso di operare le messe in sicurezza, all’inizio senza alcun finanziamento, dal 22 dicembre con l’accesso ai fondi emergenziali. Ma in pratica non è possibile agire perché mancano i protocolli. Anche questo è il sintomo di qualcosa che non funziona. Ciò detto, in molte chiese non possiamo entrare perché poste sotto sequestro. In tutte le altre situazioni, le iniziative richiedono comunque permessi e pareri da ottenere caso per caso. In questi giorni dovremmo poter iniziare a lavorare su un primo edificio. Se possibile andremo avanti di chiesa in chiesa continuando a dialogare con lo Stato e confidando nella sensibilità della popolazione. In tanti sono affezionati alle loro chiese e non è esclusa qualche forma di “adozione”.

È paradossale avere gli strumenti per salvare beni e non poter agire…

Sapevamo che le cose sarebbero state difficili, ma non così complicate. Il nostro è senza dubbio il territorio che ha maggiormente sofferto. Durante la fase più drammatica, quando c’era da fare spazio al dolore, quando c’erano da consolare i vivi e da seppellire i morti, ci dava fiducia l’idea che altri erano chiamati a farsi carico della conservazione del volto del Paese, di non lasciarlo inghiottire dal terremoto. Abbiamo creduto che la situazione eccezionale avrebbe visto una risposta straordinaria. L’inerzia di questi mesi ci fa guardare al panorama dei beni culturali con maggiore preoccupazione.

Tolto Sant’Agostino, ci sono altre chiese-simbolo su cui concentrare l’attenzione?

Intanto Sant’Agostino non la darei perduta per quel che resta: la parete destra si può ancora mettere in sicurezza. Per quanto tardivo, l’intervento andrebbe fatto. Detto questo, ogni chiesa è importante, anche se, parlando di oltre cento edifici, può essere ragionevole porsi delle priorità. Ad esempio, ci sono il Santuario della Madonna di Filetta e quello dell’Icona Passatora. Sono piccoli edifici ricchi di storia e di affreschi. Proteggere adeguatamente il loro interno, oltre che puntellarle all’esterno, è urgente e necessario. Ma forse non si è ancora compreso pienamente il valore unico per tutta l’Italia di questa particolarissima realtà costituita da una fitta rete di frazioni e luoghi di culto, talvolta non facili da raggiungere.

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