Lapo Grifone (seconda parte)

Riassunto della puntata precedente: «grazie al miracoloso ritrovamento di un suo manoscritto, Lambertino Emiliofili ci permette di pubblicare a puntate il suo “romanzo d’appendicite”: Lapo Grifone. Nella prima puntata Lapo, in procinto di essere operato, ricorda episodi del passato, fino a raggiungere un sonno profondo».

Sulla soglia della camera operatoria accadde l’inatteso, l’inspiegabile, l’impossibile. Lapo percepì, nonostante l’anestesia, che serviva sangue per Mariacarla, proprio la sua Mariacarla, ricoverata d’urgenza nel Reparto Terapia Intensiva. Era sprofondata nell’insonnia letargica, rara malattia ossimorica, causata da un freudiano impulso di morte. Operazione o no, Lapo doveva aiutarla. Sentiva riemergere dal passato un antico sentimento non estrinsecato. Annetta, l’infermiera, l’amica di tutti, mormorò: «a volte il destino irrompe senza chiedere permesso».

Mariacarla era ad un passo da lui. Che donna straordinaria! Pensata, sognata, desiderata, ed infine dimenticata da tutti. Alla morte di Tristana, mal si era adattata alla convivenza con Seghetta, uomo troppo rude, tutto osteria, canzoni e stornelli, senza curarsi della interiorità di lei. Col tempo si era intristita, erano sparite le serenate, gli spasimanti, i goliardi, gli sciatori. E Lapo non aveva mai trovato il coraggio, il vicolo, l’inverno per farsi avanti. Come dice Cechov, se dopo la notte non scorgi il giorno, tutto scomparirà, o forse stai ancora dormendo.

In quella risacca di indecisione lo sorprese la guerra, quello sportivo scampanare di rondini, pensieri e adunate esaltanti, attese con la fotografia a petto in fuori, sfiorate e intuite, entità non più tipologica, piuttosto meta-logica, ad alta intensità attualistica e forma mistica. Nessuno poteva prevedere l’ingiusto svolgimento strategico quando la guerra si stava allontanando da Rieti, figuriamoci sulle scalinate dei suoi primi amori. Del resto, l’odore del tiglio ingannava la sera, e chi poteva conoscere il battito del vento, col Velino denso di storia e scuro, inconsapevole? Come diceva Eisenberg, nessuno per ora può sapere come andrà a finire, o dove, e perché.

Se l’ufficiale dell’altro esercito aveva solo obbedito agli ordini, non avendo partecipato ai rastrellamenti, chi aveva cercato di insidiare Mariacarla, senza successo? Il dubbio storicistico si insediò. Ma che dire di quei partigiani, allora non ancora ambigui? Decenni dopo alcuni di loro avrebbero avuto un rimborso spese dalla commissione giardini pensili della Comunità montana.

E chi poteva dire che il Centro, l’Umbilicus era certamente equidistante dai mari, da Cotilia, dagli opposti estremismi, nonostante il suo parere contrario? Ma perché stava divagando? Chi dettava quei pensieri confusi? L’anestetico, forse? Doveva svegliarsi a tutti i costi, e non ci riusciva.

Sprofondò nell’infanzia, fra tricicli, pirati e nanetti. Ah, che bello ascoltare le storie di Polverina peperoncina, la fata che sparge cuoricini dorati dal suo elicotterino a forma di libellula! E che paura gli faceva quell’orco paonazzo che tuonava: «Elvezia, il tuo governo schiavo d’altrui si rende». Ma i giorni delle favole, dei governi lacustri, dei ramarri affumicati erano sempre più lontani. Cercava di tornare in sé, ma il film della sua vita scorreva a ritroso davanti ai suoi occhi chiusi.

Quanti torti gli aveva riservato l’esistenza! Quante dogane aveva dovuto attraversare prima di sentirsi extranazionale! E quante umiliazioni! La più dolorosa la subì a ricreazione, quando gli rubarono la raccolta de “L’uomo mascherato” che tanto amava. Ma adesso, perché adesso non riusciva a svegliarsi? Si agitò, era come incatenato, non riusciva a muoversi. Tremava, vedeva il volto pallido di Mariacarla, provò ad urlare, ma la voce non usciva dalla gola. Si dimenò ancora. Non avrebbe ceduto a quel sessantottismo isterico di piccolo borghesi in pantofole, mentre a destra, detto tra noi, c’è più memoria, più consenso, più riconoscimento dei suoi meriti individuali, come se la destra con lui potesse fare quella giustizia, risarcire la socialità a sinistra dimenticata, poi appaltata, derisa, sconclusionata. Di quel partito non era rimasto nulla, dopo di quando fu andato via lui.

Non mandato, solo radiato, denigrato, poi tornato ma definitivamente lasciato, dove era andato? Dove perduto? Disamorato, stampato? A chi dato l’amato alloro? Chi c’è nel cucudoro? Dove zoccoli? (Joyce). E Antigone? Semaforica, pietosa, saffica? Femminista, ceffoni? Ma poi scrivere, l’importante non è vivere, l’importante è pubblicare, metalogare, oh, voi, astratti borbonici, incantare, disperare, con la spada spuntata morire all’alba, con Ronzinante ed un vile scudiero, fiori di carta, carta di Fiori, quanti malori, cori, dolori!

«Lo stiamo perdendo» esclamò il Primario, «ha reagito male all’anestesia, non possiamo operarlo. Somministriamo due grammi di antimarasmacetilcastrina, presto! Endovena!».

Fine del secondo episodio.

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