L’amicizia con La Pira. I giovani fiorentini

Alla fine del 1970 Giorgio La Pira era rimasto senza un alloggio per la chiusura della Clinica Palumbo, che lo ospitava. L’amico Pino Arpioni gli offrì di trasferirsi a “Casa Gioventù”…

Alla fine del 1970 Giorgio La Pira era rimasto senza un alloggio per la chiusura della Clinica Palumbo, che lo ospitava. L’amico Pino Arpioni, suo assessore nelle giunte degli anni Cinquanta e Sessanta, ma soprattutto grande figura di educatore, gli offrì di trasferirsi a «Casa Gioventù», sede fiorentina dell’Opera Villaggi per la Gioventù. La Pira, aveva sempre seguito con affetto l’attività dei campi-scuola per giovani che Pino portava avanti dal dopoguerra, prima come delegato regionale della Giac e poi con l’Opera Villaggi, che aveva fondato nel 1959. La scelta si rivelò felice. Il contatto quotidiano con i tanti giovani che frequentavano «Casa Gioventù» rivitalizzò il Professore, che stava passando un periodo difficile. E all’Opera portò quotidianamente idee e riflessioni. E fu un’idea del «Professore» quella di far studiare ai giovani, in tempi di forte contestazione, la storia della Chiesa. Nacque così nell’autunno del 1972 la «Tre Giorni di studio» per i capo-gruppo, che poggiava su due tesi «lapiriane»: la «teleologia della storia» (il mondo cammina verso la pace e l’unità tra i popoli) e il «bipolarismo» («due sono i protagonisti: gli Stati e la Chiesa»).

Se tenere cento giovani a studiare per tre giorni la storia della Chiesa era stato coraggioso, ancora di più lo fu il pellegrinaggio alla sede di Pietro, che concluse quella prima «Tre giorni». Paolo VI appariva sempre più isolato e criticato anche nel mondo cattolico. Ne era ben consapevole Pino che nella lettera d’invito a sacerdoti e amici scriveva: «l’iniziativa di portare i giovani in pellegrinaggio a Roma, sulla tomba di Pietro, nell’anno “1972”, potrebbe sembrare – almeno a prima vista – una pazzia. Si tratta invece di un atto di fede che dobbiamo compiere per primi noi stessi. (…) I giovani non hanno paura, ma anzi sono generosi se vengono loro prospettati, in modo serio, motivi validi per il loro impegno».

Il 4 novembre 1972 partirono per Roma 320 giovani e una quindicina di sacerdoti. A Roma gli appuntamenti rispecchiarono questa concezione «bipolare» della storia, con la Messa in San Pietro e la visita all’Ara Pacis, dove il Professore parlò della «pienezza dei tempi» dell’epoca augustea. Poi l’udienza con Paolo VI con il saluto al «caro professor Giorgio La Pira». Nel 1973 il pellegrinaggio a Roma fu il 3 novembre, con soste al Colosseo e all’Arco di Costantino, commentate sempre da La Pira. In San Pietro la Messa fu presieduta da mons. Enrico Bartoletti e concelebrata da mons. Antonio Bagnoli e da mons. Giovanni Bianchi. A loro si univano circa 40 sacerdoti delle varie diocesi del Centro-sud della Toscana. Quella seconda udienza con Paolo VI lasciò in tutti una forte impressione. Le foto ci mostrano un Paolo VI raggiante, non solo perché poteva riabbracciare l’amico Giorgio La Pira, ma perché sentiva il calore, l’entusiasmo degli oltre 300 partecipanti. E nel colloquio a tu per tu tra Paolo VI e Pino, il Papa chiese per due o tre volte di voler conoscere meglio l’Opera.

Memorabile fu poi l’udienza del 4 novembre 1974, introdotta con calore dal card. Ermenegildo Florit.
Le parole del Papa mostrano tutto il suo stupore, nonostante ci fossero stati già i due appuntamenti precedenti: «Eminenza, è una sorpresa per me – esordì il Papa – (…) non mi attendevo uno spettacolo così consolante e così pieno di vita, di giovinezza, di promesse, come è questo. (…) Eppoi abbiamo fra i conoscenti il nostro antico amico Giorgio La Pira e una bella fila di sacerdoti che certamente sono quelli che dirigono e sostengono tutto questo bel movimento». Poi Paolo VI si rivolse a Pino: «Posso fare qualche domanda? Chi mi risponde? Il signor Arpioni per tutti? Facciamo un po’ d’inchiesta anagrafica…».
Inizia così un simpatico dialogo tra Paolo VI e Pino. Il Papa è incuriosito e chiede perché si parla di «Villaggi» e chi sono i destinatari. Perché «la prima preoccupazione, la più grande fra le prime del nostro Ministero – spiega – è quella di incontrare la gioventù, di incontrare le nuove generazioni».
Paolo VI insiste con le sue domande. Chiede se ci sono corsi speciali, se questi corsi contengono lezioni o altro, se ci sono libri di testo. Quindi tira le fila con un discorso a braccio che dimostra come fosse rimasto colpito: «Io vorrei restare ancora giovane sapete? Ai miei teneri 77 anni», premette subito. Poi cita Savonarola che «i giovani li aveva trasformati appunto in apostoli» augurando ai presenti di seguire quelle orme. E prosegue. «Davvero voi date una grandissima consolazione di testimonianza che non potrebbe essere più lieta per me, più piena di promesse. Quasi apre un orizzonte di speranza per questo nostro paese e per questa nostra situazione (…) Io sono felice di fare la vostra conoscenza e di dirvi la parola più cordiale che può avere un pastore, un papa, nel vedere crescere intorno a sé, come un giardino fiorito, la vostra bellissima schiera giovanile». Alla fine volle mettersi in mezzo ai giovani per una foto ricordo con a fianco l’amico di sempre Giorgio La Pira.

L’incontro si ripeté nuovamente il 4 novembre 1975. Dopo il saluto di mons. Bagnoli, il Papa esordì con un «Caro e vecchio amico La Pira, da quanti anni ci conosciamo e quanti, quanti altri amici si intrecciano in questo rapporto». Poi ringraziò per «questo familiare colloquio che voi tanto avete desiderato e che ha rotto le dighe della nostra giornata e della nostra regola che non avrebbe contemplato questa presenza», sottolineando, appunto, l’eccezionalità dell’incontro. Tre i motivi per cui Paolo VI si disse particolarmente felice di incontrare i giovani dell’Opera. «Primo perché siete giovani e il Signore ha su ciascuno di voi un piano di collaborazione per il bene della società e della Chiesa». In secondo luogo «perché siete pensosi del passato e ne cogliete le lezioni per il presente e per l’avvenire». Questa, proseguì il Papa «è una meditazione che dovremmo fare di più. Voi siete all’avanguardia, avete capito che bisogna avere questo sguardo al passato, non per torcere il collo verso un rimpianto che non avrebbe ragione di essere, ma per cogliere una lezione, un’esperienza, per vedere la linea in cui cammina la società e la storia e la civiltà e per vedere e ammirare non soltanto il passato, ma per poter poi guardare avanti all’avvenire». Terzo, aggiunse ancora il Papa, è «soprattutto perché avete pregato. Come ci fa gioia e come ci fa pensare avere davanti a noi un gruppo di anime giovani che hanno pregato e cercato di pregare bene! (…) Noi vi incoraggiamo in questa direzione! Continuate, è la via buona».
Poi il Papa si soffermò a lungo sulla necessità dell’evangelizzazione, facendo capire apertamente che stava lavorando ad un testo – l’«Evangelii Nuntiandi» – come frutto dell’ultimo Sinodo.

Nel 1976 La Pira stava già poco bene. Accompagnò il gruppo dei giovani solo all’udienza con Paolo VI, il 3 novembre. Nonostante fosse quella generale del mercoledì, Paolo VI dedicò parte del suo discorso al gruppo dei quattrocento giovani dell’Opera «che ha davanti a sé – disse il Papa – uno che ha il carisma di essere sempre giovane: l’onorevole La Pira. Noi da tanti anni lo seguiamo e sappiamo il bene che ha compiuto, e soprattutto la fedeltà che ha dato alla ricchezza della ispirazione cristiana». Poi, richiamando il tema della «Tre giorni di studio», aggiunse: «Noi vi auguriamo, carissimi giovani e – aggiungiamo quale espressione spontanea dell’anima – carissimi amici, che uno studio serio e approfondito della storia della Chiesa vi permetta di superare valutazioni superficiali e preconcette e vi porti a intravedere sempre più chiaramente, pur tra le inevitabili lacune e fragilità umane, il “mistero” mirabile ed appassionante che è la Chiesa. Crediamo di conoscerla, ne vediamo la faccia esteriore, conosciamo gli episodi, conosciamo le debolezze, conosciamo le persone che la compongono, eppure questa composizione che il Signore ha chiamato Chiesa, la società intorno a Lui dei viventi di Lui, è un “mistero”, cioè include in sé delle realtà che superano la nostra stessa capacità di misura e di comprensione. (…) Faccia il Signore che questa ravvivata consapevolezza conduca ciascuno di voi ad impegnarsi sempre più generosamente in una coerente testimonianza di vita, così da diventare efficaci strumenti di salvezza nelle mani di Cristo. E vi aggiungiamo l’augurio: siate – lo ha detto tante volte S. Paolo – siate lieti, contenti, felici di essere cattolici e nella Chiesa!».

Claudio Turrini – “Toscana Oggi”