La scommessa dell’amore

Ecco perché i Promessi sposi di Manzoni sono ancora vivi, oggi più di ieri

“L’uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s’è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: sia insomma, ad un di presso, alla storia di prima. E per questo, soggiunge l’anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”.

Manzoni sta chiudendo l’ultima pagina della sua gran fatica che durava da oltre un ventennio (prima di questa del 1840 vi era stata una edizione a stampa nel 1827) e deve trovare le parole. Lo sa che i primi colpi sui Promessi sposi saranno quelli degli scettici, che gli rimprovereranno sicuramente il (per loro) lieto fine. Il discorso è e sarà semplice: “ma come, questo che dovrebbe essere il più importante romanzo italiano di sempre termina con un banale happy end?”.

Manzoni sa che non sarà capito, per questo ha cambiato mille volte le parole e costretto il povero tipografo a strappargli il foglio fin sotto il torchio tipografico. Il Gran Lombardo sa che nessuna correzione potrà risparmiargli gli strali dei suoi detrattori. Perché sa anche un’altra cosa che forse teme più della prima: che i Promessi sposi diverranno un punto di riferimento. Un romanzo, vale a dire proprio la forma che paradossalmente Manzoni pensava essere un ibrido senza verità, senza storia, e soprattutto, secondo lui, che per fortuna sbagliava, senza futuro.

I Promessi sposi diventeranno talmente importanti da rappresentare il totem della letteratura italiana moderna. Milioni di studenti proferiranno parole poco piacevoli sull’opera e sul suo autore, perché costretti a scrivere interminabili riassunti sui rossori di Lucia, sulla dabbenaggine di Renzo e sul presunto lieto fine.

Eppure le cose non stanno così. Manzoni aveva previsto tutto questo, anche se alla fine dovette cedere alla fascinosa maledizione della pagina scritta e perciò irrimediabilmente consegnata in pasto alla gente. Perché quello non era un lieto fine. Solo che non poteva dirlo con parole sue, che sarebbero suonate sentenziose e forzate: deve essere la storia a farsi, non l’autore a spiegarla. I due si sposano e arrivano i marmocchi, ma attenzione, se arrivano nuove vite e Renzo e Lucia sono ancora giovani vuol dire che in realtà è l’inizio. I rischi sono tanti, e la Provvidenza non sta lì appesa al cielo pronta ad essere staccata al primo impiccio. Uno dei rischi è quello che abbiamo riportato in apertura: la volontà inappagata, come in quegli stessi anni il grande pessimista Schopenhauer andava proclamando nel suo capolavoro, “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Ma il lombardo con i Promessi sposi va oltre: se la volontà ci rende schiavi, la vita non ha più senso; se la si pone al servizio di un altro, allora l’uomo ha una speranza. Questa speranza non è l’eros, creazione della natura che vuole riprodursi e ci illude, ma l’agape, il cercare il bene degli altri. Non è possibile separare l’amore dal servizio all’altro cui dare amore a prescindere. È questa la terribile scommessa dell’amore, che il Lombardo non esplicita, perché sottilmente ce la mette di fronte con quella metafora della ricerca del letto migliore. È uno scrittore di storie, non un filosofo né uno psicologo. Qui, alla fine del romanzo, sembra dire Manzoni, ricomincia un’altra storia che non sarà priva di problemi, perché “la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani”.

Quella antica e abusata storia non appare più così lontana dai nostri giorni, perché i rischi di oggi stanno ancora tutti lì: il don Rodrigo di una concezione della libertà come licenza e desiderio senza limiti che trasforma ogni persona in oggetto da possedere con violenza, se non è possibile con i soldi. La scelta del male non come follia, ma come inseguimento del piacere (la Monaca di Monza ed Egidio) fino alle estreme conseguenze e alla fine per il disperato gusto della trasgressione del sacro. L’arrivo di impegni difficili che rischiano di trasformare in banalità materiale quello che sembrava un sogno irrealizzabile.

I Promessi sposi sono ancora vivi, oggi più di ieri.