La salute rimane un diritto

Per la nostra salute solo lo scorso anno abbiamo speso 149 miliardi, di cui 115 sostenuti dal servizio sanitario nazionale e altri 34 a carico delle spese private, cioè delle famiglie. Purtroppo questa voce di spesa sarà crescente in un panorama di invecchiamento costante

Il costante invecchiamento demografico nel nostro Paese comporta delle conseguenze che dovremmo tenere sotto attenta osservazione, per mantenere un livello alto del sistema sanitario.
I più recenti dati Istat rilevano che nel 2015 il 38% della popolazione deve combattere con una patologia cronica e un altro 5% è composto da persone non autosufficienti.
La popolazione molto anziana e quella non autosufficiente cresce rapidamente e le famiglie non sono più in grado di rispondere autonomamente come in passato al fenomeno. Ci sono almeno due motivi da considerare. In primo luogo la minore disponibilità di tempo delle donne, perché loro sono e sono state le principali care giver; esse sono meno presenti in casa perché impegnate nel mercato del lavoro, mentre non si è realizzata una ripartizione dei compiti con gli uomini, poi sono in numero inferiore a prima e quindi possono condividere meno le fatiche con le sorelle o i fratelli; le donne, inoltre, quando diventano giovani pensionate sono chiamate ad assolvere a molteplici compiti perché oltre a essere figlie, a volte sono anche nonne che accudiscono i loro nipoti. In secondo luogo le esigenze dell’assistenza aumentano, e migliorano le possibilità di curare e di gestire le malattie croniche, ci troveremo un numero sempre più alto di persone non autosufficienti che chiederanno alle loro famiglie attenzioni più particolareggiate e continuative.
C’è anche una conseguenza economica da tenere in considerazione: per la nostra salute solo lo scorso anno abbiamo speso 149 miliardi, di cui 115 sostenuti dal servizio sanitario nazionale e altri 34 a carico delle spese private, cioè delle famiglie. Purtroppo questa voce di spesa sarà crescente in un panorama di invecchiamento costante.
Una ricerca condotta da Oasi (Osservatorio sulle funzionalità delle Aziende Sanitarie Italiane) presso l’Università di Milano Bicocca, rileva alcune riforme organizzative che si realizzano a livello regionale per rispondere ai nuovi problemi portati dalla fragilità della vecchiaia. Si segnalano tre tendenze: la riduzione del numero complessivo delle aziende sanitarie, mentre quelle che rimangono diventano più ampie; un rafforzamento di alcune realtà centrali che assumono un ruolo di coordinamento; la ricerca d’integrazione tra servizi ospedalieri e servizi del territorio.
Un elemento critico evidenziato dalla ricerca è l’accentramento e la verticalizzazione nei rapporti tra centro e periferia: si tenta di passare da una competizione di vari soggetti con funzioni simili a una collaborazione all’interno di filiere regionali e si tende ad accentrare i processi decisionali e alcuni servizi. Invece rimangono meno sviluppate le relazioni orizzontali tra soggetti che insistono nello stesso territorio. Così potrebbero emergere alcuni problemi legati al coordinamento di diverse realtà, abituate a una gestione relativamente autonoma, oltre che si potrebbe rischiare di sguarnire alcune zone di servizi. Si pone allora un problema di integrazione di risorse e responsabilità nelle reti orizzontali.
C’è infine un’ultima questione che riguarda il fuoco della riorganizzazione: per rispondere alle economie di scala, in modo da fronteggiare le trasformazioni contingenti dovute alla vecchiaia, non si dovranno trascurare le patologie che colpiscono gli altri: adulti e bambini, perché la salute rimane un diritto di tutti.