La pace più duratura nella libertà religiosa

Papa Francesco ha canonizzato due sante “palestinesi”. Due religiose di un tempo antico, tra Otto e Novecento, prima dei confini degli Stati di oggi. Una suggestione di pace per il Medio Oriente dilaniato dalle guerre e soprattutto per Israele e Palestina, due Stati e due popoli chiamati dal destino a convivere.

Papa Francesco ha canonizzato due sante “palestinesi”, Maria Alfonsina Danil Ghattas e Maria di Gesù Crocifisso, con le delegazioni ufficiali di Palestina, Israele e Giordania. Perché la santità e la fede unificano. Religiose di un tempo antico, tra Otto e Novecento, prima dei confini degli Stati di oggi. Quasi ad indicare, agli Stati di oggi, uno sguardo lungo. Che è quello proprio dei cristiani, in un Medio Oriente percorso dalle guerre.
Così, dopo la messa della canonizzazione, papa Francesco dice: “ispirandosi al loro esempio di misericordia, di carità e di riconciliazione, i cristiani di queste terre guardino con speranza al futuro, proseguendo nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna”. Una presenza in pericolo, che pure è parte integrante dell’identità dell’intera regione.
Tra gli ospiti spiccava il presidente Abu Mazen: aveva incontrato il Papa la vigilia della messa e all’indomani della riunione, il 13 scorso, della commissione bilaterale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, conclusasi con l’annuncio della prossima firma di un accordo globale.
Israele non ha mancato di fare trapelare la propria “delusione”, perché l’accordo parla esplicitamente dello Stato della Palestina, espressione peraltro già correntemente utilizzata in ambito internazionale e dalle stesse Nazioni Unite. In effetti, come si è visto per il caso dei rapporti Cuba–Stati Uniti, Papa Francesco si vuole porre al servizio, apre processi, da affidare poi alla responsabilità degli attori in campo. Così per la cosiddetta “Two-State Solution” di cui si discute da molto tempo. La Santa Sede richiama infatti nell’ambito delle “risoluzioni della comunità internazionale” alla necessità di “un’intesa tra le parti”. Per questo è necessario sviluppare il dialogo a trecentosessanta gradi.
Ad Abu Mazen Papa Francesco ha ricordato proprio il cammino della pace “per trovare una soluzione giusta e duratura al conflitto”. Il comunicato ufficiale della visita ribadisce “l’augurio che, con il sostegno della Comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi prendano con determinazione decisioni coraggiose a favore della pace”.
In realtà tutto si tiene e nei colloqui, “con riferimento ai conflitti che affliggono il Medio Oriente, nel riaffermare l’importanza di combattere il terrorismo, è stata sottolineata la necessità del dialogo interreligioso”.
L’Accordo con lo Stato palestinese peraltro contiene proprio, come ha anticipato il sottosegretario mons. Camilleri, un “importante capitolo sulla libertà religiosa e di coscienza, molto elaborato e dettagliato”, che si vuole esemplare. È il tema cruciale e la questione decisiva, come oggi tragicamente si vede. Non solo per assicurare “la libertà di azione” della Chiesa, “il suo personale e la sua giurisdizione, lo statuto personale, i luoghi di culto, l’attività sociale e caritativa, i mezzi di comunicazione sociale”. Ma per dare concretezza alla prospettiva della pace, per tutti.