La pace in nome di Dio. La storia del celebre incontro tra religioni diverse ad Assisi ripercorsa in un libro di Paolo Fucili

 “Lo spirito di Assisi è una necessità vitale. Proprio mentre leggiamo di tanta violenza ammantata di religione, dobbiamo impegnare sempre di più i leader religiosi –e i popoli dietro di loro- per la pace.”

Le parole di Marco Impagliazzo, attuale presidente della Comunità di Sant’Egidio,  nell’intervista presente in “Pace in nome di Dio” (Tau Editrice, 97 pagine) di Paolo Fucili, sono la sintesi migliore di una lunga storia: quella non solo dell’evento che destò meraviglia (e alcune perplessità) nell’ottobre del 1986, ma anche quella dello sforzo di mantenere vivo quello spirito: non è un caso che il sottotitolo reciti “Lo spirito di Assisi tra storia e profezia”.

L’autore documenta il tentativo di non lasciare che quella fatidica Giornata di preghiera per la pace a Santa Maria degli Angeli rimanesse un fatto isolato, una sorta di mito incapsulato nel passato e lì imbalsamato. Intanto ripercorrere la preparazione e lo svilupparsi di quella giornata permette non solo di storicizzare l’evento, ma anche di chiarire alcune dinamiche ed opposizioni interne alla Chiesa stessa, per il timore del relativismo e del sincretismo. La resistenza di alcuni, tra cui quella di Joseph Ratzinger, futuro pontefice ma in quel tempo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, andava in questa direzione.
Come affermò però il protagonista di quella giornata, Giovanni Paolo II, “Il fatto che siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede”. In realtà quell’esperienza non poteva non suscitare reazioni contrastanti. Era la prima volta che rappresentanti delle religioni presenti nel nostro pianeta si incontravano per pregare assieme. Solo questo era uno sconvolgente punto di rottura con il passato. Dopo guerre, in cui, e fa bene Fucili a metterlo in evidenza, i motivi religiosi erano serviti a mascherare ragioni economiche e strategiche, dopo convivenze difficili, dopo anatemi, il mondo cambiava. Non, si guardi bene, solo il mondo legato alla religione, ma l’intera struttura del pensiero planetario. 26 ottobre 1986 significa una profonda frattura con il passato, perché religione non significava più steccato, confine, sospetto, ma possibilità di vivere assieme senza dover lottare palmo a palmo per un pezzo di terra dove vivere e pregare. Non che questo improvvisamente si sia realizzato, ma intanto se ne erano poste le basi storiche. Questo però  non significava, nelle intenzioni di Wojtyla, cedimenti o tentativi  di contaminazione o sincretismo religioso, come aveva qualche anno prima paventato lo scrittore Brian Moore in suo romanzo, “Cattolici”. Lo spirito di Assisi ‘86 era altro: far capire che avere un credo diverso non significava per forza di cose lottare per il predominio. Ecco perché nel corso degli anni gli incontri sono continuati in nome di quello spirito: non si trattava di abiurare il proprio credo, ma di tentare la strada della pace, anche nella preghiera, e non più quella della guerra. Le cifre snocciolate in questo libro ci danno un’idea di quante guerre, più o meno dichiarate, fossero in atto in quel lontano, ma per questo tremendamente vicino a noi, 1986: trentasei conflitti, “di cui uno in Europa, in Irlanda del Nord, 6 in Medioriente, 4 in Asia meridionale, 8 in estremo oriente, 11 in Africa e 6 in America”.

A voler essere pragmatici, quell’incontro ha permesso la focalizzazione di un’opinione pubblica spesso distratta  non solo sulle problematiche dei rapporti tra religioni, ma sulla catastrofe di guerre che vedevano morire centinaia di migliaia di bambini, spesso arruolati come carne da macello. Non è stato un caso che l’incontro del 2016, che ha segnato il trentennale, sia stato improntato, nel discorso di papa Francesco, sul “virus che paralizza” dell’indifferenza. E il fatto che questo monito venga dal capo di una religione, deve far pensare a quanto la iper-laica politica abbia ancora da imparare sull’accidentato percorso della pace.