La nuova sfida di don Domenico

Monsignor Pompili si prepara al ministero nella diocesi reatina. Con l’assemblea generale svoltasi a Roma concluso il suo servizio alla Cei.

Al tempo di concludere la sua prima assemblea generale Cei da vescovo (seppur solo eletto) e via, di volata in famiglia, in Ciociaria. Non una novità per don Domenico, che anche lasciata la diocesi per il servizio in Conferenza episcopale i fine settimana, salvo impegni superiori, ha sempre avuto l’abitudine di trascorrerli nella propria terra, dando una mano alle parrocchie del vicariato di Fiuggi secondo necessità. Anche stavolta il futuro pastore della Chiesa reatina ha voluto raggiungere il proprio paese oriundo, Acuto (anche se il terzo figlio la famiglia Pompili lo fece nascere in clinica nella capitale, per cui formalmente risulta per nascita romano), per stare vicino a papà Paolo e mamma Elisabetta. Si è stretto attorno a loro, coi fratelli Marco, Pierluigi e Francesco (c’era anche una sorella, Elisa, volata in cielo qualche anno fa), in questi giorni in cui paesani, amici, condiocesani non hanno risparmiato affetto ed esultanza per la sua nomina a vescovo.

«Giorni densi di gioia per questa esperienza che segna un cambiamento netto nella mia vita », ci dice al telefono il prossimo successore di monsignor Lucarelli. Giorni che sta vivendo «con grande fiducia, nella gratitudine al Papa per questa chiamata» che diventa per lui l’occasione «per riconfermare la stessa chiamata» che, il 6 agosto di 27 anni fa, lo vide pronunciare gli impegni del sacerdozio. Qualche mese ancora, prima di pronunciare un nuovo “sì” e dare avvio alla nuova esperienza al servizio di una diocesi che finora ha avuto modo di conoscere un po’ “di striscio”: qualche puntatina nella zona del Turano, che dalla parte di Carsoli non è lontana da Vallepietra, il paese di cui è stato parroco e che è meta ambita di pellegrini di quella come di altre nostre vallate che vedono l’Abruzzo intersecarsi fra alta Sabina, Cicolano e Ciociaria. E i santuari francescani? «Qualche visita coi seminaristi», ai tempi in cui don Domenico era vice rettore al Leoniano.

Ma il suo prepararsi a entrare nella terra più francescana dopo Assisi è ben chiaro al vescovo eletto, che questo aspetto l’ha sottolineato in tutte le interviste e non ha mancato di richiamarlo nel primo messaggio inviato ai reatini. Un legame particolare, quello col francescanesimo, che per Pompili è una risorsa da non lasciarsi sfuggire: «Un valore ulteriore rispetto all’ordinario cammino parrocchiale, che ci aiuta a vivere quella interpretazione essenziale e radicale del Vangelo» che il Papa che ha scelto di chiamarsi col nome del Poverello d’Assisi continuamente richiama, e che è pronto, da vescovo, a valorizzare al meglio.

Dopo l’ordinazione, attenderanno il nuovo presule due impegni ecclesiali piuttosto consistenti: il convegno di Firenze e l’apertura del Giubileo straordinario. Per quanto riguarda l’appuntamento di ottobre nel capoluogo toscano, dove la Chiesa italiana si radunerà per il suo quinto convegno ecclesiale nazionale, in questi ultimi tempi passati alla Cei ha avuto modo di seguire da vicino tutto l’impegno di preparazione. E da Firenze si aspetta molto don Domenico: un «banco di prova per verificare quanto riusciamo come Chiesa a rendere davvero più “umano” il mondo in cui viviamo», per disegnare «un cristianesimo che si riconosca a partire dai suoi frutti», e cioè da quel saper davvero innestare una cultura che metta al centro l’uomo. E poi il Giubileo dedicato a quella misericordia che costituisce «la cifra di questo pontificato», sottolinea Pompili, occasione per «guardare alla fede da questa che è la caratteristica precipua del cristianesimo»: discorsi “turistici” e di ritorno economico–promozionale a parte, l’Anno Santo indetto dal Pontefice servirà proprio a farci «riscoprire di più la misericordia, superando una visione giustizialista: la giustizia non si rinnega, ma quella evangelica è una misura più alta».

Arrivando da una realtà piccola passando per la grande Roma, monsignor Pompili è pronto ad accogliere quella sfida di pascere un territorio marginale e “minuto” evitando che si chiuda in sé: è quella «tensione tra unità e molteplicità che ci chiede di conciliare periferia e centro, piccolezza e totalità, sapendo riconoscere la bellezza del piccolo ma con lo sguardo alla dimensione più ampia». Il che significa anche saper valorizzare le tradizioni, così care alle nostre piccole comunità, senza farsene imprigionare. «Mi sembra che oggi il compito più importante sia quel “riprendere l’iniziativa” su cui tanto insiste papa Francesco», conclude monsignore. No, insomma, «a quell’atteggiamento rinunciatario, di chi sa solo rimpiangere nostalgicamente il passato perduto», ma senza nemmeno «l’aggressività da conquista ». Impegno, invece, a testimoniare e vivere «la vera fede che si radica nel passato per concretizzarsi però nel presente dandogli un senso». Una bella sfida per il futuro pastore di una Chiesa locale che di una svegliatina non è da nascondersi che abbia bisogno.

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