La mafia uccide solo d’estate. Su Rai 1 la fiction ispirata al film di Pif

Succede a volte – e non sempre è un male – che un film di successo dia origine a una serie televisiva che riprende e amplifica una parte del racconto, a uso e consumo dei telespettatori. È il caso di “La mafia uccide solo d’estate – La serie ” (Rai 1, lunedì ore 21.25), produzione di Wildside con Rai Fiction, scritta da Stefano Bises, Michele Astori e Michele Pellegrini e diretta da Luca Ribuoli, che prende le mosse dall’omonimo film di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Nel cast Claudio Gioè, Anna Foglietta, Francesco Scianna, Angela Curri, Valentina D’Agostino, Nino Frassica e Nicola Rignanese.
Ambientata a Palermo nel 1979, la produzione racconta le vicende della famiglia Giammarresi, che con la mafia non ha niente a che fare eppure viene anch’essa sfiorata inevitabilmente dal fenomeno, fra intimidazioni, compromessi e sguardi voltati da un’altra parte per non vedere. Come nel film che l’ha ispirata, anche questa serie propone un racconto attraverso gli occhi del piccolo Salvatore (Eduardo Buscetta), sensibile e intelligente, con uno spiccato senso della giustizia trasmessogli dal padre. Il tono è quello realistico e ironico che Pif aveva già utilizzato nella produzione cinematografica (e che è la cifra caratteristica delle sue video-narrazioni fin da quando faceva parte del cast di inviati delle “Iene”).
Il ragazzino frequenta lo stesso bar del vicequestore di Palermo Boris Giuliano, che sceglie come proprio consigliere sentimentale dopo essersi innamorato della compagna di classe Alice. C’è una domanda che lo perseguita, di fronte a tutti i morti ammazzati di quel periodo: dato che di mafia non si parla mai, è forse per le “femmine” che si muore? Quando il padre è testimone dell’uccisione del vicebrigadiere Filadelfio Aparo da parte di Cosa Nostra, Salvatore riflette: “Mio papà aveva visto qualcosa: era un testimone, la cosa peggiore che ti poteva capitare a Palermo dopo la morte”.
È proprio con queste finestre sul flusso di coscienza del ragazzino che Pif e gli autori inseriscono nella narrazione riflessioni graffianti e vere, in un contesto oggettivamente drammatico, attraverso una connotazione semi-ironica che le rende ancora più efficaci. Emerge comunque il clima di paura e omertà che ha segnato quegli anni e che tuttora permette alla mafia di agire più o meno (in)disturbata all’interno del sistema.
Il diretto interessato Pif definisce la nuova produzione in questi termini: “Una serie che entrerà anche nelle case dei mafiosi, per prenderli in giro, sminuendoli. E la mafia non ha senso dell’umorismo: se cogli il lato umano, ridicolo, è una vittoria”. Fra i testimonial più autorevoli dell’opera di Pif, il presidente del Senato Piero Grasso, già procuratore capo della Repubblica a Palermo e capo della Procura nazionale antimafia: “Se sono tornato dopo 24 anni al cinema lo devo a Pierfrancesco, che mi trascinò a vedere il suo film, il più bello che abbia mai visto sulla mafia. Pif sa raccontare il fenomeno con ironia, ma sulla base di una seria documentazione dei fatti. Ti lascia un messaggio, ti fa pensare”.
Di fronte a un fenomeno tanto complesso quanto pernicioso e inaccettabile qual è la mafia, probabilmente la via più efficace per sensibilizzare attivamente i cittadini è proprio quella scelta da Pif: utilizzare un registro insolito – quello ironico – di maggiore presa sul pubblico per raccontare i fatti sulla base di una solida documentazione storica.
È ciò che ci aspetteremmo soprattutto dai colleghi giornalisti, ma se lo fa un bravo regista va bene lo stesso.