La “Conversione di San Martino” di Vincenzo Manenti

Una eloquente esortazione alla misericordia è suggerita dalla decorazione della parete di destra, nella cappella di San Giuseppe, fino alla metà del XIX secolo intitolata all’Angelo Custode.

Nella quarta decade del XVII secolo, l’ampio riquadro è utilizzato da Vincenzo Manenti per celebrare la memoria di San Martino, nato intorno al 317 in Pannonia nella colonia romana di Claudia Sabaria, convertito al cristianesimo ed eletto vescovo di Tours, come attesta la Vita redatta da parte di Sulpicio Severo.

L’artista sabino ha ormai maturato un suo stile narrativo piacevole e piano, capace di soddisfare le esigenze del committente, il mercante Alfonso Lucentini incaricato del rifacimento della cappella, a cui garantisce l’eccellenza del risultato.

La pittura rapida e luminosa è sintetica nel significato, ricca di dettagli nella descrizione degli elementi che arricchiscono la Legenda del Santo.

L’impianto dell’affresco corrisponde puntualmente all’intento che è a un tempo celebrativo e catechetico: la vasta superficie della parete è occupata in larga parte dal canonico svolgimento del tema della Sacra Conversazione.

In alto, a sinistra, su una soffice cortina di nubi, la Vergine Maria si rivolge con la confidenza di una donna matura alle Sante martiri giovanette Agnese e Barbara, in una scena pervasa dal sentimento di un’intimità femminile felicemente intuita dall’artista, trasfusa nell’atto di contemplazione e preghiera con cui il Santo Vescovo, vestito delle insegne della sua dignità, depone a terra la mitria rivolgendo lo sguardo verso il cielo.

Ma a destra di chi osserva si apre nella parete uno squarcio di paesaggio in cui s’innesta la scena che fa testimonianza del gesto di misericordia destinato a mutare per l’eternità il destino del miles del potente esercito di Roma.

Vincenzo Manenti raffigura Martino su una imponente cavalcatura, il capo protetto dall’elmo, il petto chiuso nella lorica, la spada in pugno. Il suo aspetto vigoroso e severo è però mitigato dall’azione di dividere compassionevolmente il suo mantello con il povero pezzente che gli si accosta, ancora timoroso e sbigottito per la generosità inattesa del dono.

L’efficacia didascalica della felice interpretazione artistica della legenda di San Martino è ancora intatta, a distanza di quasi quattro secoli dalla realizzazione dell’affresco, testimone dell’atto di misericordia che valse la conversione al soldato pagano che seppe mutare il ruvido panno della clamide con il serico damasco del piviale, il mantello simbolo della dignità episcopale che lo avrebbe rivestito per l’eternità.