La cicatrice australiana

Russel Crowe, interprete e regista di “The water diviner”, pagina di storia

A cinquant’anni, il premio Oscar Russel Crowe si regala un film in cui non è soltanto interprete, ma anche regista. “The water diviner” (il titolo si riferisce ad una caratteristica che appartiene al personaggio interpretato da Crowe: è un rabdomante, cioè riesce a scovare pozzi d’acqua nel deserto) è la storia epica e commovente di un padre che vuole riportare a casa le salme dei figli, morti durante la prima guerra mondiale. Partendo dall’Australia, il protagonista arriva in Turchia dove i figli hanno combattuto la famosa battaglia di Gallipoli e sono stati uccisi. Scoprirà, aiutato da un comandante dell’esercito turco, che uno dei suoi ragazzi è ancora vivo e la sua diventerà una ricerca di speranza.

Il film tocca una nota dolente ancora oggi per il popolo australiano: quella dei tanti giovani morti durante il primo conflitto mondiale nella penisola turca, dove erano stati inviati dall’esercito inglese al fine di fermare l’alleanza turco-tedesca. Crowe, neozelandese di nascita ma australiano di adozione, ha voluto così rendere omaggio alla sua terra. D’altronde la carriera cinematografica di Crowe, ma anche il carattere passionale e a volte un po’ irascibile, ne hanno fatto, per l’immaginario collettivo, un uomo virile dal cuore tenero, che combatte per ciò che gli sta più a cuore. Non a caso diventa famoso, a 36 anni, per la sua interpretazione del generale romano Massimo Decimo Meridio ne “Il gladiatore” di Ridley Scott, per cui vinse l’Oscar. Un combattente, ma soprattutto un padre e un marito che vuole vendicare l’uccisione dei suoi cari. In realtà Crowe si era già fatto notare in “L.A. Confidential”, noir crepuscolare in cui interpretava un poliziotto dai metodi spicci ma alla ricerca della verità, attratto fatalmente dalla bellissima Kim Basinger. In “A beautiful mind”, dimostra, poi, di poter recitare anche ruoli più complessi e sfaccettati. Qui è il matematico John Nash, figura realmente esistita, uomo dalle doti incredibili che però dovrà lottare coi fantasmi della sua follia. Ma i panni che calzano meglio a Crowe sono quelli dell’eroe. E, di nuovo per la regia di Ridley Scott, gira “Robin Hood”, la storia del paladino che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Affiancato nelle sue imprese dalla bella Cate Blanchett. L’ultimo grande combattente che ha interpretato è Noè, il patriarca biblico, che deve costruire la famosa arca per mettere in salvo uomini e animali dall’inondazione, nel recente “Noah” di Darren Arnofsky.

Oggi Crowe torna sullo schermo con il ruolo ancora una volta di un personaggio che lotta per le persone che ama. “The water diviner”, infatti, non è solo una semplice pellicola di guerra, ma soprattutto la storia dell’affetto infinito di un padre verso i suoi figli. Girata con uno stile tradizionale, alla ricerca di un afflato epico che a tratti Crowe, al suo esordio dietro la macchina da presa, riesce a raggiungere, la pellicola si ispira ad un altro film che sempre un australiano aveva dedicato a questo argomento: “Gli anni spezzati” di Peter Weir. I luoghi scelti per girare sono, infatti, gli stessi e uguale è la necessità di raccontare una pagina storica poco conosciuta dal resto del mondo ma che brucia ancora come una cicatrice fresca per il popolo australiano. Inoltre il registro privato, l’affetto di un padre, e quello pubblico, la tragedia della guerra, sono ben amalgamate e dimostrano che forse Crowe ha imparato la lezione del regista Ridley Scott che lo ha diretto più volte davanti allo schermo e che è abilissimo a mescolare personale e storico nelle sue opere.