L’agroalimentare come risorsa per il territorio

Il settore agricolo e l’allevamento, fattori economici storici del reatino, sono stati abbandonati forse un po’ troppo velocemente in favore dello sviluppo industriale.

Oggi che per vari motivi l’industria locale segna il passo vale la pena di tornare a guardare con attenzione a quanto si muove nel settore agroalimentare e delle economie legate all’ambiente e indagare se può essere ancora un settore di sviluppo sano ed efficiente. Ne parliamo con Antonio Laurenzi, segretario della Uila, il settore agroalimentare della Uil che comprende un vastissimo numero di categorie.

Vuole elencarle?

Rientrano nella categoria di cui sono segretario da sedici anni tutti i lavoratori dipendenti dell’agroalimentare, dagli operai a tempo determinato e indeterminato, quelli stagionali, i dipendenti civili del Corpo forestale, della Centrale del latte, del Consorzio della bonifica. E ancora gli addetti alla pescicoltura e i dipendenti dell’industria agroalimentare dove la più importante nel nostro territorio è l’Inalca, e poi caseifici, salumifici e panificatori.

Ha nominato l’Inalca una delle aziende più importanti per il settore agroalimentare del nostro territorio che negli anni passati ha raggiunto un regime di piena occupazione dopo l’ingresso nel gruppo Cremonini. Poi un periodo di di crisi. Oggi com’è la situazione?

L’Inalca ha rappresentato e rappresenta un’eccellenza nel comprato industriale reatino. Certo in passato ha pagato la vicenda “mucca pazza” però continua ad avere ottimi ritmi produttivi nel settore della carne in scatola. Non siamo ai ritmi di qualche anno fa, ma comunque a un buon livello di produttività. Uno dei problemi è stata la chiusura del reparto disosso subito dopo la vicenda della mucca pazza.

Chiusura che ha creato diversi problemi.

Questo reparto era il fiore all’occhiello perché vantava una professionalità quasi unica in Italia. L’inalca ha ridotto la forza lavoro di oltre cento dipendenti anche se la maggior parte di loro, attraverso la cassa integrazione è stata accompagnata vicino alla pensione, gli altri, attualmente una trentina, sono stati rioccupati presso un’azienda locale, la Disosso srl che opera sempre all’interno dell’Inalca. E va fatto un plauso all’imprenditore che ha capito prima degli altri che il patrimonio dei disossatori non andava depauperato e gradatamente è arrivata ad occupare i dipendenti Inalca che altrimenti sarebbero rimasti senza lavoro.

Nel periodo della mucca pazza Rieti uscì dalla crisi puntando sulla produzione locale. Questo si può definire un modello vincente?

Ci si era già accorti che a Rieti la produzione di prodotti locali era enorme, ma poi finivano nel mare magnum dei mercati generali della Capitale che si appropriava di una produzione non sua e che quindi non veniva mai evidenziata la territorialità di questi prodotti. La Coop Risparmio 76 inventò quello che divenne una questione nazionale e cioè la carta d’identità delle carni. Il periodo di mucca pazza fece capire a molti che questa era una carta vincente perché diceva ai consumatori come veniva trattata la carne, tutta locale, prima di essere venduta.

E questo ci porta alle altre eccellenze locali.

Possiamo collocare i nostri prodotti all’interno di un mercato che io chiamo d’élite perché sono tra i migliori in campo nazionale. Vedi, tra i tanti, l’olio della Sabina, le lenticchie di Rascino, i pecorini, la genziana e tutte quelle produzioni che stanno venendo fuori. La nostra capacità di produrre è nota, forse ora dobbiamo acquisire qualcosa in imprenditorialità.

Polo Carni Reatino. Realtà o slogan politico?

Seguo il polo carni d’eccellenza dalla sua nascita perché ho assistito alla nascita di questo discorso. Era la sera di una Festa del Secolo quando all’allora ministro all’agricoltura Alemanno fu rappresentato il problema dei lavoratori Inalca. In mia presenza Alemanno si mise in contatto con Cremonini e si studiò insieme la possibilità di avviare qualcosa di collaterale al problema Inalca. Poi, andando avanti nei vari passaggi tra un politico di settore e l’altro, il discorso è stato modificato. L’ultimo incontro si è tenuto un mese e mezzo fa in Comune alla presenza dell’assessore Boncompagni che ha la delega per seguire il problema.

Cosa si è deciso?

Purtroppo a me sembra la tela di Penelope. Ogni volta che ci si siede esce qualcosa di nuovo. Il polo prevedeva l’impiego di sette lavoratori, la mattazione di novecento capi e l’investimento di 800 mila euro per adeguare il mattatoio comunale con decorrenza dal 2013. Se dopo sette anni siamo a questo livello occupazionale forse qualche riflessione va fatta. Non c’è concertazione ed invece dobbiamo dare degli indirizzi, sederci attorno. Ma non ci riusciamo. A noi interessa l’occupazione. Dico sempre che mi piace fare il sindacalista dei lavoratori, non dei disoccupati e per questo con gli altri sindacati chiediamo, a chi sul polo carni ha in mano il gioco, che siamo interessati a lavorare su un progetto serio che non può essere di sette lavoratori nel 2013.