L’invito del vescovo: guardare al san Francesco delle origini come aiuto nelle contraddizioni del presente

In apertura del XV Convegno di Greccio, svolto lo scorso 5 e 6 maggio sul tema "Sperimentazioni religiose nel territorio reatino-sabino (secc. XIII-XVII), il vescovo Domenico ha richiamato gli studiosi a guardare all'autenticità del Francesco delle origini per distinguerlo «dalla “storia degli effetti”» del cristianesimo.

«Un’epoca non può arrogarsi il privilegio e il compito di mettere l’epoca successiva in uno stato in cui le diventi impossibile ampliare le sue conoscenze e correggere i propri errori». È citando la kantiana “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo” che mons. Pompili ha introdotto i lavori del XV Convegno di Greccio

«Un’epoca storica segnata da gravi diseguaglianze, ma anche da innegabili progressi sociali». È ricordando il contesto che ha fatto da sfondo alla vicenda umana di san Francesco che il vescovo Domenico ha guardato al XV Convegno di Greccio, svolto lo scorso 5 e 6 maggio. Quasi a dire che tra l’Italia del 1200 e quella di oggi è possibile rintracciare un comune tratto essenziale nel ripetersi di una contraddizione dialettica, al cui superamento può a giusto titolo essere chiamata anche la “sperimentazione religiosa” evocata nel titolo del convegno.

La religione, infatti, «è tutt’altro che un’esperienza in sé definitivamente compiuta e, soprattutto, non è mai data una volta per tutte. Anzi, ogni generazione è chiamata a riappropriarsi della fede, dentro i mutevoli contesti sociali e culturali che la segnano in profondità».

Ma il mutare delle forme non può tradire la sostanza della fede: di qui il richiamo di don Domenico alla Valle Santa di Rieti come luogo della forma originaria e originale del cristianesimo di Francesco, «la cui memoria è stata sottoposta ad un’incessante opera di rivisitazione che, talora, ha corso il rischio di occultare, quando non anche di censurare, la sua bruciante profezia». In tal senso, il vescovo, anche confortato da studi recenti, come quello pubblicato con il titolo “Quale Francesco” da Chiara Frugoni – peraltro presente in sala – non ha mancato di fare riferimento a san Bonaventura, che «di sicuro ha salvaguardato l’unità dell’Ordine, ma forse ‘addomesticando’ lo stesso Francesco».

Un tentativo che pare però fermarsi a Greccio e alla sua «solitudine rocciosa», a partire dalla quale don Domenico ha invitato la ricerca scientifica ad assicurare «una rigorosa ricognizione di quello che fu il carisma originario, distinguendolo accuratamente dalle tante reinterpretazioni che ne sono seguite e che rischiano di farci perdere il contatto vivo con colui che qui in questa valle santa ha a lungo soggiornato».

Un compito, quello di riconoscere ciò che san Francesco ha inteso e testimoniato «dalla “storia degli effetti”» necessario per preservare «il calco degli inizi e assicurarne, al contempo, una vitalità per l’oggi». È solo non perdendo di vista l’originale fisionomia del Santo, infatti, che sarà possibile trovare «nuove forme per incarnarne, il meno infedelmente possibile, il suo singolare carisma». È a un Francesco non più «tradito», ma «consegnato» alle future generazioni che aspira il vescovo, forse anche con la speranza che il singolare carisma del santo possa essere di aiuto nelle contraddizioni del presente.