Internet: intoppi per la privacy

Faticosa applicazione della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia dell’Ue

Continua a produrre effetti la sentenza del maggio scorso dell’Alta Corte di Giustizia Ue. Dopo Google, destinatario della decisione, anche Microsoft (con il suo motore di ricerca Bing) prova ad adeguarsi alle disposizioni della Corte. Nel frattempo, Mountain View torna a sollevare tutti i suoi dubbi in materia ed istituisce un Comitato Consultivo.

“Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi”, così recita il dispositivo del Garante della Privacy spagnolo, poi confermato dalla Corte Europea. Una frase innocua ad una prima lettura, ma che nasconde mille implicazioni legali e tecniche capaci di trasformare il Word Wide Web per come lo conosciamo oggi. Il problema è trovare il giusto compromesso tra salvaguardia del diritto all’informazione e mantenimento del rispetto della privacy e della dignità degli individui. Una patata bollente non da poco, che l’Alta Corte di Giustizia Ue ha lasciato in mano ai Big della Rete.

A fare luce sul problema è David Drummond, vicepresidente Google e responsabile delle questioni legali dell’azienda, in una intervista sul Guardian: “la Corte di Giustizia Europea ha deciso che le persone hanno il diritto di richiedere che informazioni inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessive siano rimosse dai risultati di ricerca che includono il loro nome. Nel decidere cosa rimuovere, i motori di ricerca devono tenere in considerazione anche il pubblico interesse. Ma, questi sono, ovviamente, criteri molto vaghi e soggettivi”. In altre parole, se è facile decidere di rimuovere immagini che ritraggono violenze sui minori, apologie del nazismo, contenuti palesemente pirata, diventa più complicato nelle situazioni “grigie”. “Gli esempi che abbiamo visto finora – spiega Drummond, non senza polemiche – evidenziano i difficili giudizi di valore che i motori di ricerca e la società Europea devono ora affrontare: ex politici che vogliono far rimuovere messaggi che criticano le loro politiche quando erano in carica; criminali violenti che chiedono di cancellare articoli sui loro crimini; recensioni negative su professionisti come architetti e insegnanti; commenti che la gente ha scritto (e che ora si pente di avere scritto). In ciascun caso, qualcuno vuole che siano nascoste delle informazioni, mentre altri potrebbero volerle ben visibili”.

Per cercare di definire una linea univoca Google si è dotata di un Comitato Consultivo composto, oltre che dallo stesso Drummond ed Eric Schmidt (l’a.d. di Google), anche da membri di authority, giornalisti e personaggi noti per il loro impegno nel settore (tra loro anche un italiano: Luciano Floridi, oggi professore di filosofia ed etica dell’informazione all’università di Oxford). Il Comitato farà una consultazione europea (che coinvolgerà cittadini, governi, aziende, etc.) il prossimo autunno, al seguito della quale redigerà le linee guida di Google in materia di diritto all’oblio.

Nel frattempo anche Bing (il motore di ricerca di Miscrosoft) ha deciso di dotarsi di uno strumento ad hoc, per rispondere alla sentenza della Corte Ue, molto simile a quello già adottato da Mountain View: un modulo on-line attraverso il quale ogni cittadino europeo può richiedere la rimozione di link. Ma la Commissione UE non sembra soddisfatta della soluzione e secondo indiscrezioni, rilanciate dal Wall Street Journal ma non confermate, Google, Microsoft e Yahoo! sarebbero stati convocati a Bruxelles per una riunione di chiarimento.