Incombe il ritiro delle frequenze. Tv locali a rischio

Molte emittenti potrebbero scomparire perché trasmettono su frequenze ritenute interferenti con i Paesi confinanti con l’Italia. Luigi Bardelli, presidente del Corallo (300 tra radio e tv d’ispirazione cattolica), propone di “verificare l’effettiva interferenza” e chiede di salvare quelle che non disturbano. Sarebbe un colpo durissimo, economico e occupazionale per decine di emittenti cattoliche.

Se siete fedelissimi del telegiornale che parla della vostra provincia o davanti alla tv non mancate mai una celebrazione trasmessa dal Santuario della vostra diocesi, dal 1° maggio potreste essere costretti a cambiare abitudini. Il motivo è semplice: numerose emittenti locali potrebbero scomparire perché trasmettono su frequenze ritenute interferenti con i Paesi confinanti con l’Italia. Quelle a rischio sono 144, circa un terzo delle emittenti locali attualmente operanti nel nostro Paese. Si va verso una riduzione dell’offerta televisiva con ripercussioni sul pluralismo informativo e pesantissime ricadute occupazionali. Ne abbiamo parlato con Luigi Bardelli, presidente dell’Associazione Corallo che rappresenta circa 300 tra radio e tv d’ispirazione cattolica.

Ci aiuta a capire meglio quale rischio stiamo correndo?

“Mancano 2 mesi alla scadenza del 30 aprile e quella che è una ricchezza dell’Italia rischia di essere distrutta. Entro quella data, infatti, più di 140 emittenti locali devono liberare le frequenze su cui trasmettono. Si tratta di realtà che operano in particolare lungo l’Adriatico, in Sicilia e in alcuni casi anche in Toscana: con l’avvento del digitale terrestre sono state autorizzate a trasmettere su frequenze che, secondo il ministero dello Sviluppo Economico, l’Europa dichiara inutilizzabili per l’Italia perché assegnate ad altri Stati europei confinanti con il nostro Paese. Così oggi molte delle emittenti locali che con il beauty contest del 2012 avevano avuto per 20 anni la concessione a trasmettere, e a seguito della quale hanno sostenuto investimenti, sono costrette a chiudere”.

Cosa avete proposto per evitare la chiusura di queste tv?

“Come associazione abbiamo detto: ‘Perché non si verifica l’effettiva interferenza?’. Mi spiego: solo in caso d’interferenza reale, il diritto a utilizzare una frequenza è della Nazione a cui è stata assegnata. Ma se non c’è interferenza è assurdo chiedere che venga liberata una frequenza. In alcuni casi abbiamo verificato che la trasmissione di specifiche emittenti non genera interferenza. E in altri casi basta un diverso orientamento delle antenne per evitarla. Con questo sistema decine e decine di emittenti sarebbero salve. Ma il ministero non ne ha voluto sapere”.

Il ministero, invece, come misura compensativa ha proposto di assegnare le frequenze non attribuite in precedenza…

“La promessa del ministero è che le frequenze che sono avanzate dal beauty contest del 2012 vengano messe in gara perché le emittenti locali, prioritariamente, possano concorrere all’assegnazione. Allo stato attuale, però, non sappiamo ancora come si vorrà gestire questo passaggio e, soprattutto, chi ne sarà interessato. Per questo permane un fortissimo scetticismo sulla volontà del ministero di scegliere una politica che salvi l’emittenza locale”.

Territori e pluralismo andrebbero tutelati…

“Temiamo che si pensi solo ai grossi gruppi che lavorano in Italia. Da sempre la realtà delle emittenti locali è guardata con sospetto. Invece nel nostro Paese con fantasia, con libertà, con voglia di comunicare sono nati, negli anni, cento e cento fiori sotto i 1.000 campanili: distruggere le emittenti locali significa centralizzare l’informazione e non far parlare la periferia che, invece, ha diritto di esprimersi”.

Quali conseguenze occupazionali si avranno con la chiusura?

“Negli ultimi tempi le emittenti locali hanno assunto migliaia di dipendenti, per lo più giovani. Sarebbero tra i 1.000 e i 1.500 quelli che perderebbero il posto di lavoro se si concretizzasse la chiusura. Ma qualcuno in questi mesi ha già spento microfoni e telecamere perché all’incertezza sul futuro si è sommata la crisi del settore”.

Numerose sono le emittenti locali d’ispirazione cattolica: quante rischiano di non trasmettere più?

“Qualche decina. In molti casi il parroco o il direttore o intere famiglie hanno investito capitali e, persino, hanno ipotecato la casa pur di ottenere il permesso dal ministero per trasmettere sul digitale terrestre. Di fronte alla prospettiva di dover smettere sono disperati, anche perché gli eventuali rimborsi previsti per chi dismette volontariamente le frequenze (circa 0,30 euro per abitante servito, ndr) non coprono minimamente gli investimenti fatti”.

Come sta reagendo il mondo cattolico?

“La scelta che porterà alla chiusura di diverse emittenti è una delle cose che, anche se silenziosamente, scandalizza il mondo cattolico, soprattutto sul territorio. D’altra parte sono realtà che fanno esprimere e sono al servizio delle comunità. È difficile credere che l’attuale governo prosegua su questa direzione tanto assurda. Nessuno aveva mai fatto un’operazione di questo genere. Viviamo nella speranza e resiste una piccola fiammella accesa, perché la maggioranza si rifiuta di credere che il governo voglia eliminare questa caratteristica così bella e ramificata sul territorio rappresentata dalle tv locali”.