Il vescovo: «Mitezza, gratuità, unione: san Domenico modello del cristiano»

Nel pomeriggio di ieri il vescovo Domenico ha celebrato l’Eucaristia nella chiesa del monastero domenicano di Sant’Agnese. Una data non casuale, perché il 3 luglio del 1234, ad opera di Gregorio IX, proprio Rieti ebbe il privilegio di vedere il predicatore di Caleruega elevato agli onori degli altari nella Cattedrale di Santa Maria. Anniversario particolarmente significativo ricorrendo anche gli 800 anni dalla fondazione dell’ordine dei predicatori.

Nell’omelia il vescovo ha ricordato come all’origine dell’ordine domenicano ci fosse il bisogno di contrastare l’eresia degli Albigesi, che «nasceva nel contesto di un clero corrotto e demotivato» e faceva proseliti soprattutto tra le donne, con la creazione di «un contro-ambiente adatto a fronteggiare l’eresia».

Così l’opera missionaria si rivelò ancora una volta come una preparazione all’incontro con Dio, reso possibile da una testimonianza credibile. Dovremmo tutti riscoprire questa funzione di mera preparazione, di allestimento dell’incontro, dopo di che lasciare alla grazia di Dio di agire. Ci risparmieremmo delusioni e frustrazioni e ritroveremmo la nostra vera identità che è di anticipare, non di realizzare la fede.

Un disegno portato avanti nello stile del Vangelo, cogliendo ciò che di essenziale fa Gesù quando decide l’invio dei discepoli nel mondo, chiedendo loro tre qualità: «la mitezza (“Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi”), la gratuità (“Non portate borsa, né sacca, né sandali…”) e la comunione (“Li inviò a due a due”)».

«Non si fatica a rinvenire nell’esperienza di san Domenico queste stesse caratteristiche», ha sottolineato mons. Pompili, che nell’iconografia del santo: un cane, il giglio e il libro, ha rintracciato i segni di «uno stile inconfondibile».

Il cane, «che è l’animale fedele e insieme coraggioso», simboleggia infatti la mitezza. E il mite non è l’«ingenuo, ma chi sa reagire alle contrarietà senza ricatti e senza rancori. Essere miti vuol dire sapere di andare incontro qualche volta alla crocefissione e non necessariamente all’autogratificazione».

La gratuità simboleggiata dal giglio, ha poi spiegato il vescovo, «dice la purezza e, dunque, la libertà da ogni brama di possesso. Essa consiste, nel non cercare nulla e nello stesso tempo nell’accettare qualunque cosa. La Chiesa non cerca per sé, ma si affida alla Provvidenza. Significa riconoscere che tutto è grazia e tutto è ricevuto».

Quanto alla comunione, simboleggiata dal libro della Parola, «Gesù invia i suoi discepoli insieme perché ciò che conta è mostrare un abbozzo di comunità che accolga e mostri ciò che unisce. Viceversa le divisioni e le rivalità smentiscono ciò che si va a fare. La fraternità è un banco di prova per andare lontano e si fonda sul comune ascolto della Parola di Dio».

«Siamo qui a far memoria di un discepolo eccezionale – ha concluso il vescovo – san Domenico ottenga per noi preti e per tutti i credenti di essere discepoli miti, gratuiti, uniti».