Il vescovo e le sue cinque piaghe

All’unzione col santo crisma, altri segni esplicativi seguono. Li passiamo in rassegna brevemente.

1. La consegna del libro dei Vangeli

Il Vescovo ordinante, mettendo in mano all’ordinato il libro del Vangelo dice: «Ricevi il Vangelo e annuncia la parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina». Il Vangelo che prima gli era stato imposto sulla testa, perché non avesse in mente se non pensieri evangelici, ora gli viene messo tra le mani. Le mani sono gli organi dell’operatività. Il Vescovo è chiamato ad operare con il Vangelo, ad operare il Vangelo. Il Vangelo non può restare lettera morta, ma neppure solo ideale che frulla per la testa, richiede la concretezza che trasforma la storia: è la bussola di ogni agire (operare col Vangelo), è l’opera per eccellenza (operare il Vangelo). La “messa in opera” del Vangelo, richiede che il Vangelo sia il progetto di riferimento e ha come unico scopo la realizzazione del Vangelo. Il Vescovo dovrà averlo costantemente tra le mani e sgranarlo, come fosse un rosario. Ricevendolo viene esortato ad annunziarlo “con grandezza d’anima”, ciò richiama il pericolo che il Vangelo possa essere annunciato con animo meschino, gretto, con cuore rattrappito. Il Vangelo sulla bocca del vescovo, deve spiccare il volo, deve potersi dilatare: Parola più grande del mondo, Parola più grande del cuore dell’uomo. Essendo tra le nostre mani, sulle nostre labbra il Vangelo potrebbe essere adeguato alle nostre misure, ai nostri piccoli orizzonti e sarebbe un peccato. Il Vangelo chiede a noi di dilatarci sulla sua misura. è un continuo invito a dilatare mente e cuore, a dare ossigeno ad una Parola che mai vuol cessare di far ardere i cuori.

2. La consegna dell’anello

Mettendo l’anello nell’anulare destro dell’ordinato, l’ordinante dice: «Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e nell’integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo». L’anello episcopale, nella sua forma e nel suo significato rinvia alla fede nuziale, esprime infatti la sua fedeltà alla Chiesa-Sposa. Qui, però, ci troviamo dinnanzi ad un cortocircuito di non poco conto. L’anello al dito deve ricordare al vescovo il suo impegno ad essere fedele alla sposa in un altro: la Chiesa infatti non è sua sposa, ma la sposa di Cristo. Il vescovo deve amare con un amore appassionato e fedele la sposa di un altro a lui semplicemente affidata. Come non pensare alla vocazione e missione di San Giuseppe, anche lui custode amoroso della sposa di un altro. Se ogni sposo è chiamato ad amare la propria sposa e a dare se stesso per lei (Cf Ef. 5,25-28), a maggior ragione con quanta delicatezza d’amore, con quale dolce cortesia, con quale garbo di tenerezza è necessario amare la sposa di qualcun altro che ci viene affidata in segno di estrema fiducia. Se non si può spadroneggiare, né usare violenza sulla propria sposa, tanto meno è possibile farlo sulla sposa altrui. L’amore del vescovo per la Chiesa-sposa di Cristo che gli viene affidata deve essere un amore premuroso, attento e casto. Solo così il suo bastone, come quello di San Giuseppe, fiorirà.

3. Consegna della mitra

Non è solo un copricapo. Le parole che accompagnano l’imposizione della mitra sono eloquenti: «Ricevi la mitra e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori, tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria».
L’eccentrico copricapo episcopale è un continuo richiamo al “dovere” di santità del vescovo. La santità è un fulgore che deve risplendere sul volto del vescovo. Torna alla mente un episodio biblico che ha come protagonista Mosè. Egli sul monte parla con Dio quasi faccia a faccia. La frequentazione di Dio trasfigura il suo volto, lo rende luminoso e diviene il segno tangibile della sua intima esperienza di Dio. Tutti possono vedere che la vicinanza con il Santo rende santi, il fulgore del Suo volto si riflette e brilla sul volto di Mosè. Michelangelo, nel suo famoso Mosè, rende plasticamente il fulgore della santità che brilla sul volto del grande condottiero del popolo ebraico, con due corni che spuntano sulla sua testa. Forse è per questa ragione che la mitra ha assunto la forma a due punte. La mitra ricorda al vescovo il suo impegno a stare con assiduità di fronte a Dio, faccia a faccia in un colloquio intimo e cordiale, a contemplare ogni parola che esce dall’Altissimo. Il suo volto assorbirà la luce divina e la rifletterà ai fratelli. Il volto del vescovo, con o senza mitra, non potrà che essere un volto sorridente, solare, espressione della luce divina che gli abita dentro, del sacro fuoco che gli brucia nel cuore. I suoi occhi luminosi daranno coraggio a quanti si lasciano sopraffare dalle tenebre. Il sorriso della sua santità contagerà i credenti dal volto scuro.

4. Consegna del pastorale

«Ricevi il pastorale, segno del tuo ministero di pastore: abbi cura di tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo ti ha posto come vescovo a reggere la Chiesa di Dio».
Mandando i suoi discepoli in missione Gesù li esorta a portare con sé “nient’altro che un bastone” (Mc 6,8).
Il bastone episcopale è anzitutto il bastone del missionario, di colui che viene inviato a proclamare il Regno, ad annunciare la pace, ad esortare alla conversione, a scacciare i demoni, a guarire gli infermi, a testimoniare il vangelo con la sobrietà e la semplicità di una vita che si affidata al buon cuore di altri.
Il bastone episcopale indica il ruolo di pastore affidato al vescovo. Il suo compito è quello di prendersi cura del gregge che gli viene affidato per guidarlo ai pascoli della vita e ammaestrarlo con la Parola di Verità di cui è custode, servo e testimone.
Il bastone episcopale è bastone di pellegrino. Ogni vescovo è chiamato a camminare
per le vie del mondo assieme a tanti fratelli e sorelle, condividendo con essi gioie e dolori, fatiche e speranze, aneliti e delusioni. Il vescovo è discreto compagno di viaggio di ognuno, non per vagabondare senza meta, ma per indicare a tutti la vetta verso cui è diretto, nella speranza che molti, con lui, vogliano fare cordata.

5. L’insediamento

A questo punto il vescovo appena ordinato sarà invitato a sedersi sulla sua cattedra, quella che una volta impropriamente veniva chiamata: trono. È un luogo scomodo. Il vescovo sa bene che il trono del Signore Gesù è il legno della croce. Su quella croce si insedia, crocifisso anche lui alla Parola dell’Amore.