Il vescovo Domenico dagli studi di La7: «la famiglia è nel cuore di ognuno»

Intervistato da Giovanni Floris su La7, il vescovo di Rieti interviene sul Sinodo sulla Famiglia, sull’amore omosessuale e caso di mons. Krzysztof Charamsa, sulle difficoltà economiche che rendono impossibili i matrimoni.

«Il sinodo è un cammino fatto insieme e attesta il fatto che la Chiesa sente il bisogno di attraversare la storia cercando coinvolgere il più possibile tutti. In questo modo cerca di non subire i cambiamenti, ma di intepretarli alla luce delle sue ricchezze di sempre. Si riuniscono i vescovi. Non tutti, solo alcuni delegati da tutti gli episcopati del mondo». Lo ha spiegato il vescovo Domenico Pompili dagli studi televisivi di La7, in occasione della sua partecipazione alla trasmissione “di Martedì”, intervistato da Giovanni Floris.

Quali sono gli effetti del Sinodo?

Gli effetti del Sinodo sono quelli di creare consenso attorno ad alcune scelte relativamente ad un tema. In questo caso, ad esempio, attorno al tema della famiglia. È il tentativo di fare una riflessione che cerchi di tenere conto del mondo – perché la Chiesa ha questa prospettiva sempre di carattere universale, non è europea ma deve tener conto delle diverse sfaccettature del mondo – e il fatto che ci si ritrovi insieme dà a vedere un consesso davvero originale. Si tratta di 250 persone che provengono da tutto il mondo.

Come mai 250 uomini non sposati e senza figli parlano di famiglia?

Intanto perché ciascuno ha una famiglia alle spalle, e trattandosi del sinodo dei vescovi sono loro che sono chiamati in causa. Ma hanno una esperienza di famiglia: altrimenti sarebbe come dire che un oncologo non può capire quello che succede se non ha un tumore!

La comunciazione del Papa ha avuto un effetto dirompente sull’intero pianeta, ha fatto vedere in molti casi di essere avanti rispetto ai tempi. Ma sulla famiglia la prova è molto difficile. Che visione ha la Chiesa della famiglia in questo momento?

Credo che abbia la visione che è perfettamente corrispondente a quella che c’è nel cuore di ognuno di noi. Tra i sogni proibiti, nel cassetto, perfino degli adolescenti, c’è ancora la famiglia. La Chiesa non parla della famiglia patriarcale, quella di una volta, o di quella nucleare: sono realtà dinamiche, molto soggette alle trasformazioni sociali ed economiche. La Chiesa parla della famiglia eterna, del desiderio che c’è nel cuore di ognuno di noi di avere un amore non a tempo, tanto meno a termine, ma un amore nel quale finalmente trovare la pace. Questo è l’amore che la Chiesa – per altro ritenendo che questo sia il sogno stesso di Dio – intende preservare. La prospettiva in cui si muove la Chiesa tiene conto di ciò che accade (e stanno accadendo effettivamente tantissime trasformazioni) ma il suo punto di vista in un certo senso è più prospettico. Viene da più lontano e guarda più lontano.

Cosa c’è che non va nella storia di mons. Krzysztof Charamsa, il sacerdote che ha dichiarato di essere gay e di avere un compagno?

Diciamo che se il segretario della commissione teologica internazionale avesse presentato una bella catalana con cui andare insieme in Spagna sarebbe stata la stessa cosa. Non è che ci sia qualcosa che non va. L’amore è una cosa assolutamente desiderabile, è quello che tutti noi sogniamo. Ma nello specifico del prete c’è l’aver fatto una scelta, di aver preso l’impegno di non sposarsi, di non vivere la dimensione della sessualità in senso stretto.

Cos’ha in meno l’amore omosessuale rispetto a quello eterosessuale dal punto di vista della Chiesa?

La visione cristiana dell’amore ha due condizioni che valgono per ogni tipo di amore: eterosessuale ed omosessuale, e cioè che il rapporto sia fedele e che sia fecondo, aperto alla vita. L’apertura alla vita è un aspetto che rimane un punto di domanda. Qui potremmo fare rifermento a tante tecniche di bioingegneria, ma al netto delle difficoltà che solo le coppie che fanno questi percorsi conoscono da vicino, rimane comunque aperto il discorso della necessità per i figli di avere un riferimento duplice, che non va dato per scontato. Io credo che la differenza la faccia l’apertura alla vita e la possibilità per i figli di avere un riferimento doppio.

Il 74% degli italiani è a favore dei matrimoni omosessuali o alle unioni civili, il 22% è contrario. Anche tra i credenti la maggioranza assoluta è favorevole a regolare questo tema. Quanto può costare alla Chiesa non essere in sintonia con la società italiana?

Non credo che la Chiesa debba inseguire il consenso a tutti i costi. Don Lorenzo Milani usava dire: «dicesi commerciante colui che accontenta i gusti del cliente, dicesi maestro chi invece sovverte i gusti della persona». La Chiesa deve essere maestro, ma deve essere anche madre, la gente non deve avere la percezione che dietro questa differenza da salvaguardare – quella tra l’uomo e la donna – ci sia un pregiudizio nei riguardi delle persone omosessuali. Le persone omosessuali sono sempre tra noi, anche all’interno della Chiesa che ne sono tantissime. Non mi pare che nel mondo ecclesiale ci sia un atteggiamento prevenuto. Ho sempre notato che nel nostro mondo non ci sono quei toni e quegli epiteti pesanti, si è sempre respirata una atmosfera di rispetto. Certe derive mi sembrano più il prodotto di una cultura macista, che certe volte è diffusa, che non di un pregiudizio ecclesiale.

C’è un aspetto, quale che sia la famiglia, su cui la Chiesa e Papa Francesco tendono ad essere attenti: le difficoltà economiche nelle quali le famiglie si vengono a trovare soprattutto in un momento come questo e molto anche in Italia. Il tema è anche al centro del Sinodo?

Assolutamente sì, la famiglia oggi è in crisi non solo per le sue dinamiche affettive – è sempre un luogo in cui ci si può ferire, ma le ferite si posso anche sanate – ma anche perché è il luogo nel quale le difficoltà economiche pesano gravemente. E credo che questo oggi sia uno degli elementi dicono perché c’è questa rinuncia diffusa al matrimonio nonostante il desiderio della famiglia ancora sia così vivo. Le difficoltà economiche incidono non solo sulla serenità della famiglia, ma sulla stessa possibilità della famiglia.

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