Il vescovo da “Santa Maria Apparì”: «sapere chi è Dio significa sapere chi siamo noi»

«Mentre tutte le compagnie tornano a casa e comunità intere in festa accolgono i pellegrini di ritorno dal santuario della Trinità, su Vallepietra cala il silenzio. Chi c’è stato lo sa, conosce bene quel momento in cui tutto d’improvviso tace e per il paese ormai vuoto non si ode più risuonare quel canto, il canto che spinge il cuore oltre l’ostacolo, che nella fatica dona nuovo slancio».

Con queste parole e con il pensiero rivolto a quanti in questi giorni, a piedi, si sono mossi verso il santuario della Trinità, il vescovo Domenico ha salutato la comunità di Petrella Salto, raccoltasi nel tardo pomeriggio di domenica 22 maggio nella chiesa di Santa Maria Apparì. Il santuario, aperto durante il mese mariano e meta di pellegrinaggi dalle zone circostanti, è particolarmente caro a mons. Pompili. «Quando guido sulla Rieti-Torano – ha confidato don Domenico prima di impartire la benedizione ai numerosi fedeli presenti – mi volto sempre a guardarlo e scorgendolo in lontananza mi sento a casa».

Con l’inno alle tre persone divine è iniziata la celebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo e concelebrata dal parroco don Felice Battistini. E sul mistero della Trinità, di cui ricorreva la solennità liturgica, Pompili si è soffermato nella sua omelia, nella consapevolezza che, essendo noi fatti a immagine e somiglianza di Dio, «sapere chi è Dio significa sapere chi siamo noi».

Dio è unico, ma non è solitario: è Padre, Figlio e Spirito Santo. «E questa – ha detto don Domenico – è una singolarità del cristianesimo. È decisivo che noi conserviamo questa fede che proprio il popolo ha meglio preservato: lo ha fatto in maniera semplice, qualche volta persino un po’ confusa, ma è stato il popolo a mantenere la persuasione che Dio è sì uno, ma in tre persone». Anche noi, a immagine di Dio, siamo unici, cioè irripetibili. Ciò non vuol dire però che dobbiamo essere isolati. Al contrario, dobbiamo sempre e continuamente riscoprire l’importanza della relazione con gli altri, a partire dalle cose semplici della nostra vita quotidiana.

Prima fra tutte la famiglia. In essa scopriamo «che non veniamo dal nulla e neanche da noi stessi, ma che ognuno di noi proviene da altro, e va ad altro. L’idea che un uomo si faccia da sé è bislacca e insulsa. Nessuno si fa da sé e la famiglia ce lo rivela: essa spesso ci appare come un peso, come un insieme di lacci e lacciuoli che ci limitano; in realtà è l’unica cosa generante che consente alla vita di svilupparsi». Evitare il rapporto con gli altri significa ritrovarsi soli, nella famiglia e nella società. Di fronte ai momenti di difficoltà che sperimentiamo, personali e sociali, dobbiamo ricordare, ha aggiunto il vescovo riprendendo le parole di don Lorenzo Milani, che «“sortirne da soli è l’avarizia, sortirne tutti insieme è la politica”, cioè la capacità di trovare insieme delle soluzioni».

E c’è un’ultima cosa che ci richiama alla Trinità come insieme di persone in relazione: la Chiesa. «Anche nella Chiesa non si procede ognuno per proprio conto, perché credere è possibile solo insieme. Con Dio non ce la vediamo da soli, in un rapporto, per così dire, diretto; in realtà anche la fede nasce sempre da una “compagnia”. Non a caso si chiamano “compagnie” quelle che vanno al santuario di Vallepietra, ed è, questa, un’espressione bellissima, che sottende un’immagine che potremmo riutilizzare anche per la Chiesa: essa è una “compagnia” che, mentre si cammina, ci sostiene e ci incoraggia». Pur con i suoi limiti e le sue fragilità, la Chiesa è l’unico luogo in cui si apprende la Parola, l’unico luogo – così sempre don Milani – in cui possono essere perdonati i peccati.

«E nella Chiesa – ha concluso mons. Pompili – c’è bisogno di tutti: dei bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani. Perché la fede non è un percorso individuale. Se così fosse, la religione rischierebbe di diventare qualcosa a proprio uso e consumo, in cui ognuno cerca e trova quello che vuole; non sarebbe più incontrare Dio, ma continuare a imbattersi solo in sé stessi e nei propri bisogni. La Trinità allora è ben più che un’astrazione o un problema di matematica. La Trinità è riscoprire che la relazione è ciò che ci fa crescere. Come dice un proverbio africano, che ho sentito e che vado ripetendo da giorni, “Se vuoi vincere, corri da solo; se vuoi andare lontano, cammina insieme”».