Il sorriso del cuore

La sapienza del cuore, spiega il Pontefice, «non è una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti». Essa piuttosto è «un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio».

C’è da ricordare il principale comandamento per noi Cristiani: ama il prossimo tuo come te stesso. «In questa sapientia cordis, dono di Dio, possiamo, dunque, riassumere i frutti della Giornata mondiale del malato».

Innanzitutto, “sapienza del cuore” è servire il fratello. «Quanti cristiani – come Giobbe – oggi testimoniano, non solo con le parole, ma con i fatti, con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’!». Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, diventa faticoso e pesante, anche quando il sorriso ed il cuore ci pagano del sudore.

È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E «tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa».

Sapienza del cuore, “è stare con il fratello”. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio. Giustamente il Pontefice invita a chiedere «con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati».

Amare la vita in ogni sua forma ed espressione è compito del cristiano. Il fedele deve medicare e assistere tutti, anche coloro per i quali il tempo è arrivato: Curare è amore, è santificazione della pietà verso il debole. «Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!», come denuncia Francesco.

Sapienza del cuore, continua il Papa, è anche «uscire da sé verso il fratello. Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro».

L’egoismo intrinseco nella nostra quotidianità che ci allontana dall’altro e dalla vera fede. Non si deve credere che l’altro sia sempre un estraneo, che la vita sia un giardino fiorito, dove la malattia non alberghi. Dobbiamo ricordarci da fedeli in Cristo, che gli altri siamo noi, e nella sofferenza del mio fratello vedo il mio dolore e la mia limitatezza umana e riconosco la grandezza di Dio. Come sottolinea giustamente il Santo Padre «dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: ‘L’avete fatto a me’».

Per questo per ognuno di noi ci deve essere «l’assoluta priorità dell’uscita da sé verso il fratello come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio».

Dalla stessa natura missionaria della Chiesa sgorgano «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove». Sapienza del cuore è poi «essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe».

Ma, precisa Francesco, «gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa».

«La vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto».

L’esperienza di Giobbe, di colui che aiuta il malato, trova «la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. Gratuità non è solo un fattore economico, non è solo non pagare, ma anche non chiedersi chi ci troviamo di fronte. Vi voglio ricordare le parole della parabola del buon samaritano, leggete bene quelle parole, segnatele! In esso Gesù non esprime alcun giudizio sul tale. Non sappiamo chi era, e non ci interessa. Sappiamo solo che un uomo, un giusto lo aiutò, non esprimendo giudizi e pagando di tasca propria. Il Samaritano amò un uomo ferito, un uomo malato, un uomo nel dolore. Questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede».

Perciò, «anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis».

Si comprende perciò «come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: ‘Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto’. Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo».

Sapientia cordis fratelli è il cuore di chi segue il primo istinto di aiutare, non di chiedere chi sei. Si aiuta chi è in difficoltà, senza chiedere alcun compenso se non quello di essere stato un vero cristiano, senza aver espresso giudizi, senza avere chiesto prima chi sei a chi sta male. È forse nel dolore, nella malattia che si recupera la propria umanità profonda, scordare questa visuale e rincorrere le chimere del consumismo che si svilisce il senso cristiano di pietà e di umanità: la sapientia cordis.

In questa visuale l’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Salute ha istituito lo Studio Medico della Carità, anche grazie a dei buoni samaritani che ci stanno dedicando il loro tempo. È tanto per le nostre limitate risorse, ma poco per il bene che deve essere fatto, quindi ogni giorno ci interroghiamo su cosa possiamo fare di più per i nostri fratelli, la prima cosa è amarli per quello che sono.