Il matrimonio è nullo se lo si lega all’esistenza di una circostanza?

Se quando ci si sposa lo si fa con l’intenzione di apporre al matrimonio una condizione futura, il legame, secondo il diritto canonico non è valido.

Questo è ovvio perché una condizione futura non fa altro che sospendere il matrimonio (la sua esistenza quindi!) fino all’avverarsi della stessa, cosa che sappiamo bene è assolutamente inconciliabile con il coniugio così come rettamente inteso dalla Chiesa. Stesso discorso vale per la condizione futura cd. potestativa, cioè quella il cui avverarsi dipende direttamente dalla volontà del nubente (per es. Ti sposo se non ti ubriacherai; Ti sposo se mi lascerai educare i figli nella religione cattolica), anche in questo caso infatti l’incertezza circa il matrimonio è tale da renderlo nullo sin dall’inizio.

Diverse sono invece le condizioni passate o presenti, dette anche improprie. Queste infatti rendono invalido o meno il matrimonio a seconda che ne esista oppure no il presupposto. La circostanza posta in condizione passata o presente è quindi già accaduta o è in atto, ma la parte non ne è a conoscenza: questo genera quindi negli sposi incertezza al pari di una circostanza futura. Può, ad esempio, darsi il caso in cui il nubente desideri più di ogni altra cosa avere dei figli e quindi sposare una persona che abbia la normale capacità di generare, ma magari ha il dubbio che il futuro coniuge non possegga questa capacità. Non potendo o riuscendo a sciogliere il dubbio prima delle nozze, appone al suo matrimonio tale condizione che certamente tutela la presenza di quella circostanza a cui tiene in modo particolare.

Le condizioni presenti e passate, poi, non essendo in linea di principio incompatibili con il matrimonio possono anche essere apposte in modo formale purché l’Ordinario del Luogo ne dia una autorizzazione scritta. Questa circostanza certo si verifica molto raramente in quanto di solito si cerca di convincere gli sposi a non porre condizioni e ad accettare in modo pieno il vincolo coniugale.

L’esistenza di una vera e propria condizione apposta al vincolo coniugale emerge prima di tutto dalla valutazione dell’importanza che tale circostanza riveste dal punto di vista soggettivo per la parte che l’ha apposta; e successivamente avrà rilievo il comportamento tenuto dal soggetto nel momento in cui l’evento dedotto in condizione non s’è verificato. Se infatti egli si affretta a rompere la convivenza, ad impugnare la validità del matrimonio si può presumere che tale circostanza era effettivamente condizionante e che quindi la sua volontà rispetto alle nozze non era piena.

Non viene richiesto dal diritto che la persona abbia conoscenza e coscienza degli effetti invalidanti dell’apposizione della condizione, basta che dal suo totale comportamento risulti il suo effettivo modo di pensare e la sua reale volontà.