Il cappuccio di san Francesco per costruire pace e bene

Da 800 anni, senza interruzioni, a Corvaro si celebra un momento di autentica devozione legato alla reliquia del cappuccio di san Francesco. In processione, la preghiera viene intervallata dal canto “Son terziario francescano”, di antica memoria, che attesta la grande tradizione francescana di Corvaro e del Cicolano. Un fatto al quale ha voluto appellarsi padre Marino Porcelli per lanciare alla parrocchia una provocazione: perché non ricostituire un gruppo di Terziari?

«Venite con me, guardate dove guardo io: cosa vedete?». È spingendosi al centro della navata della bella chiesa di San Francesco che padre Marino Porcelli ha predicato a Corvaro, invitato dal parroco don Francesco Salvi, in occasione della festa del Cappuccio di San Francesco. Per entrare nel merito della ricorrenza, che tradizionalmente il paese del Cicolano celebra la seconda domenica di Pasqua, il guardiano di Fontecolombo è partito dal dipinto che raffigura l’approvazione delle Regola e la sua composizione nel luogo che proprio il Poverello battezzò Fons Columbarum. Nel quadro ci sono disegnati solo due compagni, frate Leone di Assisi e frate Bonizio di Bologna, «che si intendeva un po’ di buone lettere». Una scelta iconografica fedele alla tradizione, ma sul territorio di frati ce n’erano e, approvata la Regola, uno dei primi insediamenti, poco dopo la morte di san Francesco, nasce proprio Corvaro, dove una comunità volle stare per vivere i tre voti richiesti, «i tre nodi del nostro abito»: quelli che portano a vivere il Vangelo in povertà, obbedienza e castità, dedicandosi cioè a tutti e non solo ai congiunti.

Uno stile di vita testimoniato dalle Fonti Francescane, alle quali padre Marino ricorre anche per indagare sulla preziosa reliquia del serafico d’Assisi. «La questione del cappuccio è complicata», ha esordito il frate, riconoscendo l’impossibilità di conoscere il merito dei fatti. Ci sono però due episodi, nelle Fonti, che fanno diretto riferimento al cappuccio. Nella prima situazione, si evidenzia il disprezzo che gli abitanti di Assisi, all’inizio, avevano per san Francesco e i suoi compagni. Gli contestavano, infatti, di essere ricco e di far finta di esser povero. E tra i tanti maltrattamenti, alcuni afferravano i frati da dietro, per il cappuccio, e li trascinavano da dietro sul dorso, perché li ritenevano così meschini «da poterli stramazzare a loro piacere». Ma i frati non reagivano, e pure quando restavano nudi, non chiedevano indietro nulla di quanto era stato tolto loro.

«Qui – ha spiegato padre Marino – il cappuccio indica che bisogna resistere davanti al male, non reagire di fronte alla violenza, non vendicarsi. Un insegnamento grande: resistere vuol dire combattere ogni tipo di risentimento, di rancore, di odio. Pensiamo alla famiglia: è difficile perdonarsi in casa, o tra vicini. Arriviamo a prendere le armi, tanta è la rabbia, tanto è questo istinto a reagire: e tra denunce e contro-denunce siamo pure capaci di fare i botti. Ma noi dovremmo essere un botto vero di misericordia, di amore, di pace, di perdono, non quelli che vanno a prendere le persone per il cappuccio».

Il secondo passo delle Fonti dal quale si può capire qualcosa della reliquia di Corvaro riguarda la fraterna condivisione dei frati, una situazione di totale apertura che ricorda da vicino l’esperienza dei primi cristiani. «Tra di loro – si legge – nessuna cosa ritenevano proprietà privata, ma libri e altro erano messi a disposizione di tutti, secondo la direttiva trasmessa e osservata dagli apostoli. Sebbene fossero in stato di vera indigenza, erano spontaneamente generosi di tutto quello che venisse loro offerto in nome di Dio. Donavano con gioia per amore di lui, le elemosine raccolte, a quanti ne facessero richiesta, massime ai poveri».

«La vostra tradizione – ha ripreso padre Marino – è che qui san Francesco dona il cappuccio. Perché l’ha donato? Qualcuno glielo ha chiesto? Le Fonti dicono che il gesto era nell’uso dei frati, che, non avendo niente, si strappavano la manica o il cappuccio e li donavano a chi chiedeva loro qualcosa. Erano infatti di lana grezza, che quindi scaldava». Un gesto che oggi pare quasi alieno, perché sembriamo diventati incapaci di mettere ancora insieme quello che abbiamo, senza pensare alle cose come alla «roba mia».

Ma «come sarebbe questo mondo se fossimo più capaci di condividere non dico le cose, ma un po’ della nostra conoscenza, dei nostri saperi, del nostro amore?», ha domandato il guardiano di Fontecolombo. «Chi ha tanta misericordia, ne doni a chi ne ha poca, chi è più pacifico, aiuti chi è sempre arrabbiato». Un invito a mettere in comune non solo le cose, ma soprattutto la bontà, il desiderio di pace e di bene. «Gesù appena risorto è mezzo francescano – ha aggiunto padre Marino sorridendo – perché dice “pace a voi”, agli apostoli e alla madre. 1200 anni dopo qualcuno dice “pace e bene”. È diventato il saluto francescano: mettiamo in comune un po’ di pace e un po’ di bene, più amore. È una cosa che cambia il mondo».

Un’apertura al bene che è il vero senso del “cappuccio” di Francesco, e anche della statua del santo, che di lì a poco saranno portati in processione per il paese. È nel bene reciproco dei fedeli, nella voglia di mettere insieme la pace e la morte, che si misura la capacità delle reliquie di andare in soccorso, di «benedire e attirare chi ancora è lontano».

E guardando a questa vocazione missionaria, che è un tratto essenziale di Francesco e dei francescani, padre Marino ha concluso lanciando l’idea di costituire una comunità di Terziari a Corvaro. Anche perché «ci sono testimonianze storiche di terziari sul territorio, di laici che volevano vivere il Vangelo alla maniera di san Francesco». Segnali di questo movimento si rintracciano sino alla fine della guerra: «Non sarebbe ora di rimettere in piedi una fraternità?». Una proposta che ha visto il religioso buttare il cuore oltre l’ostacolo e portare con sé una decina di terziari della comunità di Fontecolombo: «Così ci potete parlare».