Con i rifiuti tossici riaffiora anche un lembo di verità

Grazie alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia si è risaliti a un terreno privato in cui sono stati sversati, venti anni fa, residui della lavorazione industriale. Il sito è a pochi passi da una ludoteca e dal mercato ortofrutticolo. Il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo: “La prima bonifica, in un certo senso, è il risvegliarsi di una partecipazione attiva, onesta e vera alla vita del territorio”.

Vivere con i rifiuti tossici a pochi metri, dove i bambini giocano e le massaie fanno la spesa. No, non è un incubo dal quale gli abitanti di Casal di Principe, tristemente nota come terra di camorra, possono svegliarsi, né un film dove la fantasia prevale sulla realtà. Ieri le ruspe hanno scavato a via Sondrio, in un terreno a poche decine di metri da una ludoteca per bambini e vicino al mercato ortofrutticolo di Casal di Principe e hanno trovato, a nove metri di profondità e a cinque dalla falda acquifera, fanghiglia sospetta e poi frammenti di fusti, sbriciolati, di media grandezza. Questo, spiega in una nota il procuratore aggiunto di Napoli Francesco Greco, il ritrovamento a Casal di Principe frutto degli accertamenti sul sito indicato da un collaboratore di giustizia legato al clan dei Casalesi. Il decreto di perquisizione e ispezione dell’area privata, nell’ambito di un’indagine da tempo coordinata dalla Dda della Procura di Napoli, è stato eseguito dai Carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Casal di Principe, unitamente ai Carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Caserta. Si tratta verosimilmente di rifiuti speciali interrati dalla criminalità organizzata oltre 20 anni fa. Sulla natura dei residui trovati saranno eseguiti specifici accertamenti da parte dell’Arpac di Napoli. I resti sono assimilabili a scarti di un sistema di depurazione industriale. Oggi, intanto, le ruspe hanno ripreso a lavorare.

Veleni nel terreno.

Secondo quanto riferito ai pm, quel terreno avrebbe ingoiato veleni pari al contenuto di venti camion. Il pentito non ha saputo dire, invece, da dove siano giunti, ma era lui a guidare la pala meccanica che ha preparato quella terra, per interrare i rifiuti all’inizio degli anni Novanta. Non si tratta, quindi, delle rivelazioni di Carmine Schiavone, cugino del boss Sandokan, che in alcune interviste aveva parlato dei veleni interrati dalla criminalità organizzata in quella fetta di territorio campano che si estende tra la provincia di Caserta e Napoli, la cosiddetta “Terra dei fuochi”. Scarti industriali provenienti dal Nord e non solo. Dichiarazioni sconcertanti di un dramma che nei giorni scorsi ha visto scendere in campo anche il presidente della Camera, Laura Boldrini, a unire la propria voce a quella di chi chiede che venga rimosso il segreto imposto su queste dichiarazioni. Tra chi chiede di portare alla luce tutta la verità c’è in prima fila don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (Napoli), uno dei comuni della “Terra dei fuochi”. Il parroco ha anche lanciato un’iniziativa: inviare al Papa cartoline che hanno per immagine sette mamme residenti nelle zone più inquinate al confine tra le province di Napoli e Caserta, che hanno in braccio le foto dei figli morti per tumore. Ieri don Patriciello ha inviato 45mila cartoline al Papa: “Così – dice – lui ci aiuterà a far sentire la nostra voce”.

L’allarme della comunità scientifica.

L’allarme sulla Terra dei fuochi trova eco anche nella comunità scientifica. Nel luglio del 2012, l’istituto per i tumori di Napoli ha pubblicato un rapporto sui casi di morte verificatisi dal 1998 a causa del cancro. Con un dato sconcertante: le neoplasie mortali – secondo tale stima – sono aumentate fino al 47%. Il 10 settembre di quest’anno i medici Antonio Marfella e Gaetano Rivezzi, rappresentanti dell’associazione italiana Medici per l’ambiente, accompagnati da don Patriciello, sono stati ascoltati sugli effetti dell’inquinamento dalla commissione Igiene e sanità del Senato.

Tutti responsabili.

“Il ritrovamento avvalora purtroppo quanto già sapevamo. E questo richiede una grande attenzione al territorio. Ci deve essere la possibilità di individuare i luoghi in cui sono avvenuti questi sversamenti e poi decidere cosa fare caso per caso. Perché ci auguriamo che non tutto il territorio sia così inquinato e non tutti i prodotti siano a rischio”, commenta al Sir monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e vicepresidente della Cei. Questo passo verso la verità, auspica il presule, richiamando la sua ultima lettera pastorale sull’ambiente e la vivibilità, “faccia riflettere e possa essere di stimolo e incoraggiamento a tutta la popolazione, affinché sia partecipe e collabori. La prima bonifica, in un certo senso, è il risvegliarsi di una partecipazione attiva, onesta e vera alla vita del territorio”. Il necessario impegno delle autorità nazionali per far tornare la regione a essere “Campania felix”, per Spinillo non deve “significare una sorta di delega come purtroppo è sempre accaduto”. La comunità ecclesiale locale, dal canto suo, continuerà a “sollecitare sempre una maturazione della sensibilità su questo problema. È chiaro che devono intervenire tutti gli organi competenti, ma deve anche maturare la consapevolezza del ruolo di tutti quanti noi. Non possiamo essere solo assistiti, abbiamo bisogno di imparare a esprimere il nostro essere cittadini e la nostra autentica volontà di rinnovamento nella collaborazione alla pulizia dell’ambiente in cui viviamo e alla sua valorizzazione”.