Giugno Antoniano Reatino: le parole di Mons Lucarelli

Omelia di Mons Delio Lucarelli in occasione del solenne pontificale nel giorno della tradizionale processione dei ceri.

Carissimi fratelli e sorelle, con gioia celebro con voi e per voi la conclusione dei festeggiamenti antoniani, a qualche mese dall’ingresso in diocesi del nuovo vescovo.

In questi anni ho sempre celebrato questa ricorrenza con spirito di vera partecipazione e con una curiosità crescente per la vita e la figura del nostro Santo, tanto caro e amato.

Le letture di oggi sono molto indicate per esaminare brevemente alcune qualità che distinsero il nostro Santo. Nel Vangelo abbiamo il racconto di due miracoli di Gesù: la risurrezione della figlia di Giàiro e la guarigione della donna che aveva perdite di sangue; la prima aveva un’età di 12 anni, la seconda aveva emorragie da 12 anni.

Il numero dodici indica la totalità, dunque, in questi casi, la totalità del male, e la irreversibilità della morte. Sant’Antonio, nel suo sermone su questo brano del Vangelo, identifica, infatti, la morte della fanciulla e il flusso di sangue come figura del peccato mortale; Giàiro, il padre della fanciulla e capo della Sinagoga, detto anche Archisinagogo, significa “illuminato” o “illuminante”, ed è la figura del cristiano, secondo Sant’Antonio.

La figlia morta in casa è figura dell’anima del cristiano, morta nella casa della coscienza dopo il peccato. Vorrei farvi notare che Sant’Antonio, in questa sua originale interpretazione non pone l’accento semplicemente sulla potenza di Gesù, che risuscita la ragazza e ferma il flusso di sangue.

Egli coglie in modo sapiente e acuto la dimensione simbolica e spirituale del brano evangelico. Ma noi potremmo anche pensare che l’interpretazione antoniana sia molto personale e forse anche non pertinente; invece le altre due letture che precedono il Vangelo di oggi ci confermano che Sant’Antonio aveva còlto la dimensione corretta del Vangelo, quantomeno l’aveva inserita nel solco della più genuina interpretazione biblica.

Infatti nella prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, abbiamo la spiegazione della morte, come conseguenza dell’invidia del diavolo, mentre l’uomo è creato per l’incorruttibilità. Dio non gode della rovina dei viventi: Egli vuole la salvezza. Soltanto la vittoria sul male e sulla morte, realizzata da Gesù con la sua morte e risurrezione, ripristina questa santità originaria. Questa salvezza ci rende ricchi. È la ricchezza di cui parla l’Apostolo nella seconda lettura; siamo ricchi in ogni cosa: fede, parola, conoscenza, zelo, carità. Soprattutto la carità.

La necessità della carità Paolo la spiega con l’uguaglianza che deve esserci tra tutti. La nostra abbondanza deve supplire all’indigenza dei poveri. Ciò vale soprattutto nel nostro tempo, in cui la crisi ha reso molti più poveri. È un monito pienamente coerente con lo stile, con la predicazione, con il carattere di sant’Antonio.

Carissimi, fratelli e sorelle, in queste letture di oggi, come spesso è capitato, noi abbiamo trovato delineati i tratti caratteristici del Santo di Padova. Anzitutto la capacità di penetrare la Sacra Scrittura, con l’intelligenza, con la preghiera, con l’ascolto. Poi l’abilità nel decifrarne la simbologia, calandola nel contesto storico ed ecclesiale. Proviamo, ora, a svolgere un’operazione simile, declinando il messaggio di questi testi per la nostra vita spirituale e sociale.

Dobbiamo sempre metterci in ascolto della Parola di Dio. Non limitarci al solo significato letterale, ma penetrare quello simbolico, allegorico. Non dobbiamo avere paura, quando siamo in salute, di riflettere sul male e sulla morte. Soprattutto dobbiamo nutrire una grande speranza nella salvezza, nella redenzione, nel bene, dopo aver sperimentato la totalità del male.

Ripercorrendo a ritroso con la memoria questi lunghi anni di vicinanza con questo Santo, penso di poterlo definire vero maestro spirituale, ma anche un uomo concreto, calato nel suo tempo, un uomo sanguigno, pieno di energia e di cultura. La sua figura si staglia nell’orizzonte della santità anche per la sua capacità di essere contemporaneo a noi, a distanza di otto secoli, oltre che agli uomini del suo tempo, perché la realtà è cambiata, ma i desideri delle persone e i problemi, sono sempre gli stessi, oggi come allora.

Con queste convinzioni mi sento di potervi dire una parola di incoraggiamento e di fiducia almeno in ordine a tre grandi eventi che ci attendono. Il Sinodo sulla famiglia, del prossimo ottobre; il Convegno della Chiesa Italiana di Firenze, a novembre; il Giubileo della misericordia, il prossimo dicembre.

Tutti e tre questi appuntamenti hanno qualcosa in comune tra loro e qualcosa in comune con il Santo di Padova. Il Sinodo sulla famiglia è finalizzato a riscoprire il nuovo umanesimo cristiano, di cui si tratterà a Firenze nel Convegno ecclesiale, ma anche il grande insegnamento sulla misericordia, di cui è permeato tutto il Vangelo.

Dunque, tra le grandi originalità dell’esperienza cristiana noi abbiamo proprio nella misericordia, nel perdono, nella comprensione dell’altro, il nucleo portante e caratteristico. Il nuovo umanesimo cristiano, in realtà è antico di duemila anni. Esso scaturisce da una convinzione profonda, che cioè l’uomo “è cosa molto buona”, immagine e somiglianza di Dio, soggetto al peccato, ma non per questo irrimediabilmente cattivo.

Grazie alla misericordia e al perdono da parte di Dio, che ha mandato il Figlio Gesù, a salvarlo, egli può recuperare la sua santità originaria. Sant’Antonio, nella sua vita e nella sua predicazione, non fece altro che proclamare questa misericordia e diffondere questo nuovo umanesimo, che affiora da ogni pagina del Vangelo. In uno dei suoi Sermoni egli dice proprio così: “l’anno di misericordia è Gesù e il suo Vangelo”.

Mi sento di consegnarvi questo messaggio, che considero come il mio “lascito spirituale”, che sia di stimolo e di incoraggiamento per il futuro di ognuno di noi e per la nostra Città e per la nostra Chiesa. Il futuro sarà molto complesso e difficile, sia per la Chiesa che per la famiglia, così come è intesa da sempre.

Il nostro compito di credenti sarà sempre più quello di guardare con gli occhi della misericordia il volto dell’altro e il corso della storia, sapendo proclamare a chiara voce ciò che siamo e ciò che crediamo, senza paura e senza vergogna, come fece il Santo francescano che veneriamo oggi con devozione.

Con questi sentimenti e una grande emozione, vi auguro di scoprire sempre più in Sant’Antonio un maestro e un modello di vita cristiana e di umanesimo pienamente riusciti.