Fiducia nella vita sacerdotale

Omelia del vescovo di Rieti mons. Delio Lucarelli in occasione dell’ordinazione sacerdotale di Jan Lessek Nieborak e Lucian Petru Petrea. Cattedrale di Rieti, domenica 26 ottobre 2014.

Carissimi fratelli e sorelle, cari don Lucian e don Jan Leszek, che tra poco riceverete il sacro Ordine del presbiterato, tutti partecipiamo alla gioia che provate in questo momento, atteso e solenne.

Una gioia grande, che è arricchita dai testi che abbiamo ascoltato.

Nel brano del Vangelo abbiamo la grande sfida che interpella ogni credente: il comandamento dell’amore! L’amore a Dio e l’amore al prossimo. Esso, il comandamento, sovrasta ogni altro aspetto della vita di fede e della vita sacerdotale.

La Legge, vale a dire la Toràh, sia intesa in senso stretto, cioè il Pentateuco,  sia intesa in senso ampio, cioè gli altri scritti e le interpretazioni rabbiniche,
e gli scritti dei Profeti, sono la conseguenza del comandamento dell’amore. Spesso vengono visti solo come contrapposti o alternativi, ma la Legge e i Profeti sono la derivazione della legge dell’amore.

L’amore a Dio e al prossimo sono anch’essi congiunti e non alternativi. Spesso, anche nell’opinione comune, si tende a considerare l’amore verso Dio più come un’occupazione dei sacerdoti e dei religiosi, e l’amore al prossimo più un compito della società civile e dei laici.

Essi sono complementari e inseparabili. Voi, cari Lucian e Jan Leszek, venite ordinati sacerdoti in ragione di questo amore, a causa di questo amore.

Ma nella vostra missione dovrete ben coniugare l’amore verso Dio e quello verso il prossimo, soprattutto verso i poveri. Abbiamo un mònito molto chiaro e stringente nella prima lettura: chi trascura gli orfani e le vedove si attira l’ira di Dio.

Cioè chi trascura i poveri, sia di povertà materiali che spirituali e umane, non risponde neppure alla chiamata ad amare Dio.

Ma oggi, come un tempo, la vostra vocazione è controcorrente.

Sarà attraente, nella misura in cui saprete mostrare chiaramente questo amore per l’uomo e la donna che incontrerete nel vostro servizio sacerdotale.

Papa Francesco, parlando ai sacerdoti di Caserta, anzi rispondendo alle loro domande, ha parlato di “creatività”.

Il sacerdote deve essere creativo, ma questa creatività parte dalla preghiera, dall’ascolto della Parola di Dio. Questa creatività – dice il papa – che viene dalla preghiera, apre alla trascendenza, verso Dio e verso gli altri.

Certamente è una creatività che può portare dei problemi, dice sempre papa Francesco. Poi dice questo: “Non bisogna essere una Chiesa chiusa in sé, che si guarda l’ombelico, una Chiesa autoreferenziale, che guarda se stessa e non è capace di trascendere.

È importante la trascendenza duplice: verso Dio e verso il prossimo”. Spesso pensiamo che sottrarre del tempo alla preghiera, al breviario, ci offra la possibilità di fare altre cose.

In realtà perdiamo ancora più tempo. Cercate sempre di stare in equilibrio. Dalla preghiera e dalla meditazione riceverete tempo, energie e creatività,
per aiutare il prossimo.

Nella domanda che aveva fatto il sacerdote di Caserta si parlava di crisi esistenziale dei sacerdoti e di Chiesa in ritardo, rispetto al mondo: sono idee diffuse e che ci turbano molto. A queste provocazioni noi spesso rispondiamo chiudendoci nel nostro piccolo, per evitare che il mondo intacchi le nostre sicurezze.

In realtà, le crisi esistenziali affiorano quando noi ci chiudiamo nelle nostre certezze, e quando pensiamo di fare muro contro il mondo.

Se sappiamo aprirci, con creatività, alle sfide del mondo sapremo anche trovare le risposte giuste. Sempre nel dialogo con i sacerdoti di Caserta, che tutti noi vogliamo considerare un dialogo con i sacerdoti in generale, papa Francesco parla anche del rapporto con il vescovo.

“Non c’è spiritualità del sacerdote se manca il rapporto con il vescovo e il presbiterio”, afferma il pontefice. E ancora: “un sacerdote diocesano non può essere staccato dal vescovo”.

Il papa fa anche l’esempio di un cattivo vescovo, “che è sempre il tuo vescovo e in quell’atteggiamento non positivo tu, sacerdote, devi trovare sempre una strada per mantenere il rapporto con lui”. Ecco, cari don Lucian e don Jan Leszek, chiunque sarà il vostro vescovo, mantenete sempre con lui un rapporto vitale, una relazione buona.

Si può non essere in accordo con il vescovo, su una o più questioni della vita pastorale, e, a differenza del passato, esprimere la propria divergenza di opinione,  con cordialità e rispetto, come può accadere con un confratello o i fedeli, ma non per questo si devono ingenerare conflitti. Poi il vescovo saprà tenere conto delle divergenze e operare una sintesi.

Dialogate sempre con il vescovo, perché non riconoscere l’autorità del vescovo apre la strada alla crisi della propria identità, e alla crisi, quindi, della vocazione.

Una cosa colpisce molto chi di noi ha una confidenza quotidiana con i testi, non solo della Scrittura, ma anche dei Padri e della Tradizione della Chiesa,
ed è questa: il sacerdote, tutto protéso verso Dio e verso i fratelli, non è autocentrato, non è autoreferenziale. Nell’ottica della donazione per il servizio,
egli, il sacerdote, è de-centrato, e imposta la sua attività pastorale, soprattutto in parrocchia, mettendo al centro i fedeli, i loro bisogni e le loro necessità,
chinandosi sulle loro realtà, per poi aiutarli a crescere umanamente e cristianamente.

Nel recente Sinodo sulla famiglia, alcuni Padri sinodali hanno messo in guardia dalla tentazione di accomodare il Vangelo ai desideri della gente. È vero, è un rischio che corriamo. Non dobbiamo adattare il messaggio, svuotandolo e riducendone la portata. Ma dobbiamo partire dalla realtà concreta, per elevarla fino alle vette del Vangelo.

È un’operazione non facile. Riguarda soprattutto i due àmbiti più delicati, quello dei giovani e della famiglia. Quanto ai giovani, essi sono desiderosi di fare esperienze forti e significative, di conoscere testimoni convinti e appassionati di Gesù e innamorati della Chiesa. Quanto alle famiglie, esse richiedono sempre più di essere accompagnate nel loro cammino, non tanto e non solo con le parole, ma con una vicinanza cordiale e sincera, che le aiuti nella vita di fede e di relazione, con una condivisione convinta.

Carissimi, questa ordinazione che oggi ricevete non è il punto di arrivo della vostra formazione, ma il punto di partenza. Non una fuga dal mondo, ma un nuovo ingresso in esso, un tuffo nella quotidianità  della vita sociale ed ecclesiale, rivestiti di quella corazza rappresentata dalla vostra spiritualità, dalla vostra affabilità e amabilità, e dalla grazia del sacramento dell’ordine.

Voglio avere fiducia in voi, nel vostro impegno e nella vostra forza di volontà. Sono certo che il Signore vi darà il suo aiuto, nella misura in cui saprete anche abbandonarvi a Lui.

Abbiamo recitato nel salmo: “il Signore è fedele al suo consacrato”. Sì, Egli resta fedele. Voi dite sempre così: “Ti amo, Signore, mia forza”.