A fianco dei disabili anche quando la malattia graffia

Il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute, Carmine Arice: “La disabilità di per sé non è una malattia ma è una situazione di vita. Però anche la persona disabile si ammala e a un certo punto deve affrontare la morte. Ci interrogheremo su quale tipo di attenzione pastorale siamo chiamati a dare a queste persone. È l’inizio di un percorso”.

“Accompagnare la persona disabile nel tempo della malattia” è il tema del seminario formativo promosso ad Assisi, dal 19 al 21 settembre, dall’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della salute e dal settore per la catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale. Vi prenderanno parte una cinquantina tra sacerdoti, animatori pastorali religiosi e laici, membri di équipe pastorali dei centri e delle strutture per le diverse disabilità e per anziani. L’iniziativa vuole offrire una formazione specifica a quanti offrono accompagnamento pastorale in tali strutture (centri diurni per persone con disabilità semplice o pluri-disabilità, strutture per anziani disabili, strutture per disabilità adulte). Per conoscere meglio i contenuti del seminario il Sir ha intervistato don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute.

Come si inquadra il seminario nella pastorale per la salute nazionale?
“Il seminario è rivolto a persone, preti, religiosi e laici, che operano a tempo pieno in strutture che ospitano disabili sensoriali, fisici e mentali. La disabilità di per sé non è una malattia ma è una situazione di vita. Però anche la persona disabile si ammala e a un certo punto deve affrontare la morte. Ci interrogheremo su quale tipo di attenzione pastorale siamo chiamati a dare a queste persone. È chiaramente l’inizio di un percorso che andrà approfondito ulteriormente”.

Di cosa parlerete?

“C’è una pluralità di temi nel programma, a partire dalla domanda di senso che in questo caso viene moltiplicata: oltre tutto quello che già ho, si chiede il disabile, adesso cosa vuole ancora da me il Signore? Queste persone attendono una risposta credibile in linea con le loro domande più profonde. Ma agli operatori pastorali occorre anche fornire, oltre alle competenze teologico-spirituali, degli strumenti di tipo ‘tecnico’: ad esempio specifici linguaggi e uso di strumenti nuovi per comunicare con disabili gravi, a volte portatori di pluridisabilità come nel caso dei bambini ospiti dell’istituto Serafico che visiteremo, con pluridisabilità motoria, a volte mentale e cecità. Immaginiamo le difficoltà che incontrano. Così vedremo l’uso di strumenti molto tecnici per comunicare con loro, come luci, suoni, ambienti, rumori particolari. Il linguaggio non è solo quello verbale ma abbiamo anche quello meta-verbale e quello para-verbale: quindi occorre una competenza articolata e innovativa”.

La cultura attuale tende a rifiutare l’idea della persona che nasce con disabilità. Affronterete anche questo aspetto “culturale”?

“Per la società odierna è difficile accettare la ‘non-perfezione’. Allo stesso tempo, in un’epoca di crisi, molti non sono d’accordo che si facciano investimenti per l’assistenza a persone che non sono ‘produttive’ nella nostra società. Parleremo anche di questo per arrivare a dare degli orientamenti che verranno poi approfonditi e declinati sul territorio”.

Quale è il coinvolgimento delle famiglie dei disabili a questo riguardo?

“Ci sono due discorsi: le famiglie che hanno dei disabili e i cui genitori o parenti stretti possono accompagnare o prendersi comunque cura di loro nell’istituzione che li accoglie. E dall’altro lato il ‘dopo-di-noi’, quando cioè il disabile resta senza genitori e assistenza famigliare. All’interno del percorso che la Chiesa sta facendo verso il Sinodo sulla famiglia, mi pare che questo elemento possa assumere un significato particolare”.

Che esperienza ha la Chiesa nell’assistenza dei disabili?
“L’esperienza è secolare, basti pensare che nei tempi in cui le persone disabili venivano ‘buttate dalla rupe’, la Chiesa ha proclamato la dignità di queste persone come ha insegnato Gesù. Gli esempi di santi che hanno agito in questo campo sono innumerevoli: prendiamo il Cottolengo, don Guanella, don Orione. Sono tutti santi che nell’Ottocento e Novecento hanno avuto un’attenzione particolarissima al disabile”.

Il campo della disabilità è vastissimo: dalle malattie neurovegetative ai post-incidentati, sono milioni di persone. Cosa si può fare concretamente?
“Solo gli anziani non autosufficienti e con disabilità in Italia sono circa 3 milioni e mezzo. Certo che è un campo vastissimo. Ma la carità appartiene alla natura della Chiesa e non è qualcosa che si aggiunge, ma è parte essenziale della sua vita. Oggi, tra l’altro in un periodo di crisi economica, dobbiamo tenere desta l’attenzione perché non prevalga una concezione mercantile della persona umana, danneggiando in particolare le persone con disabilità”.