Festa grande nel Cicolano per i cinquant’anni di sacerdozio di don Nazzareno e don Mario

“Nozze d’oro” sacerdotali per due cari preti da sempre operanti nell’alto Cicolano, che è poi anche la terra in cui sono nati e vissuti. Per don Nazzareno Nicolai, parroco di Borgorose, e don Mario Mandarini, parroco di Torano, è stata una grande festa quella vissuta nella chiesa di Santa Anastasia, nel capoluogo di quello che è il territorio comunale più periferico della diocesi, ma che alla Chiesa reatina ha sempre dato tanto in termini di vocazioni e di genuinità di fede.

È stato un momento coinvolgente per tutta la comunità del Cicolano, con i fedeli, le suore pastorelle e francescane di Santa Filippa Mareri, i sacerdoti della zona pastorale e non solo, tutti riuniti nella solenne eucaristia presieduta dal vescovo Domenico Pompili che non ha voluto mancare l’occasione. Nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, ha voluto ricordare il mezzo secolo trascorso da quel 29 giugno 1967 in cui il suo allora predecessore sulla cattedra episcopale reatina, Nicola Cavanna, ordinava presbiteri i due giovani equicoli.

Una festa, ha voluto precisare don Nazzareno nel ringraziamento rivolto alla fine della Messa, «rivolta più che a noi a Dio», invitando a unirsi nella lode a lui per i cinquant’anni spesi nel ministero presbiterale da lui e dal confratello. Anni che «sono una montagna di grazie, un fiume di luce che attraversa tutta la vita. Cinquant’anni a contatto con la miseria umana, ma proteso al cielo aperto e amico. Per cinquant’anni ogni giorno, con l’ostia santa e il calice benedetto tra le mani: è una realtà sublime, misteriosa, emozionante assai», ha detto il sacerdote, esprimendo il grazie anche a tutti coloro che, nel popolo cristiano, hanno mostrato vicinanza e collaborazione: «Il bene compiuto tra voi è stato ispirato, voluto e operato da Dio, autore di ogni bene».

Le letture della liturgia dei santi apostoli, “colonne della Chiesa”, ha offerto a monsignor Pompili lo spunto per tratteggiare, nell’omelia, il valore della vocazione. A partire da quel comando perentorio “Alzati in fretta” rivolto, secondo la narrazione degli Atti, dall’angelo a Pietro liberato dalla prigione: una vocazione «è rispondere a un invito che ci dice di metterci in cammino verso qualcosa di inedito, e per di più di imprevisto». E in questo senso il vescovo ha voluto rileggere gli inizi della vocazione di don Mario e don Nazzareno, che da ragazzini entrarono in seminario «e a quel tempo andare a Rieti era quasi un viaggio intercontinentale, significava un taglio cesareo, lontano dal tepore familiare e proiettati verso un’esperienza di vita nuova». Uno «slancio in avanti», di cui , ha commentato il vescovo, «oggi per i ragazzi e i giovani ci sarebbe bisogno, anche se essi oggi girovagano nel mondo presto e tanto, ma l’impressione è che come in un giro dell’oca tornino a casa. Oggi c’è una fatica ad alzarsi in piedi e lasciare il passato», mentre «la maturità di una persona si coglie quando riesce a tagliare il cordone ombelicale e a costruire una nuova realtà».

Della Parola proclamata dalla liturgia, monsignor Domenico ha voluto poi richiamare quanto detto dall’altro protagonista della festa del 29 giugno, l’apostolo Paolo, il quale, nello scrivere a Timoteo, nel brano della seconda lettura, facendo una sorta di sintesi della sua vita conclude dicendo «che ne ha passate di cotte e di crude… ma una cosa gli è chiara: “il Signore mi è stato vicino”. Penso che queste parole dell’apostolo Paolo possano sottoscriverle anche don Mario e don Nazzareno. Ne hanno viste tante, ma in mezzo a tanta confusione, a tanta bellezza, a tanti momenti di difficoltà e di fatica, di una cosa sono convinti anche loro: che il Signore gli è stato vicino».

Infine, la parola del Vangelo, «dove Gesù dà a Pietro il mandato di essere la pietra su cui costruire la sua Chiesa. Gesù non è un ingenuo nel dire ciò a Pietro, sa bene che è un entusiasta, ma è anche che è uno che facilmente si perde, che arriverà addirittura a rinnegarlo. E qui mi pare di cogliere il mistero del sacerdozio: i preti non sono degli eroi immacolati, spesso non siamo nemmeno dei “cuor di leone”, e tutta la nostra pochezza umana rimane, nonostante questo grande ministero che ci è affidato. E tuttavia, nonostante quel poco che siamo, il compito che ci è affidato fa sì che andiamo oltre le nostre povere risorse umane».

Allora, ha concluso Pompili, «stare qui dopo cinquant’anni significa per don Mario e don Nazzareno tessere l’elogio della fedeltà di Dio: proprio la fedeltà di Dio è ciò che ci incoraggia ad andare avanti. Allora il cinquantesimo oltre a essere la festa di loro due, è la festa dell’amore di Dio. Ed è bello dirlo nella società di oggi in cui sembra che tutto duri solo la spazio di una stagione, in cui non si vuol vedere nulla che sia duraturo. Diciamo grazie a Dio di questa fedeltà, che è soprattutto la sua».

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