Ha chiuso lo stabilimento Omsa… di Rieti

Gabriele Polo, direttore emerito de «Il manifesto» è un bravo giornalista. Lo diciamo senza ironia.

Anzi, diciamo di più: è uno scrittore in gamba. Ha appena pubblicato presso l’editore Einaudi un buon saggio sul lavoro in Italia (Polo – Boursier, Lavorare manca. Passaggi. 224 pagine. € 19,00). Si tratta di giornalismo d’inchiesta, merce rara nel panorama editoriale attuale. Una indagine sulla crisi industriale, ricca di testimonianze raccolte sul campo. E con efficaci ritratti di imprenditori, a volte dinamici ed intelligenti, più spesso spregiudicati e cinici. Bene. Veramente! Si consideri inoltre che, all’ombra dello Struzzo, il richiamo al Pavese di Lavorare stanca è impegnativo quanto prestigioso.

A pagina 135, però, il libro ci fa sapere che «più a sud di Faenza, in provincia di Rieti, ha chiuso lo stabilimento dell’Omsa». Quello che produceva calze. I più anziani ricorderanno il tormentone pubblicitario «Omsa, che gambe!» Tanto tempo fa, quello slogan era carico di una vaga eco peccaminosa.

Ora quella fabbrica non c’è più. E dove è avvenuta tale perdita? A Gissi. Qui, caro buon Polo, ci hai messo in crisi. Eh sì, perché, incalliti reatini, e vivendo da una vita in questa derelitta landa, mai sentimmo favella di tale fabbrica, e neppure di tale città, borgo, paesello.

Presi da angoscioso dubbio, con rapide ricerche geografiche abbiamo scoperto che sì, proprio di Chieti si tratta. A sud di Faenza, che però non confina col Lazio. A occhio e croce, un refuso, un erroruccio da nulla, una pagliuzza. Un dettaglio. Due aree lontane, due città quasi omofone eppur distinte, due escrescenze del vecchio Regno pontificio.

Il correttore di bozze non ci ha fatto caso, o magari ha deliberatamente sorvolato, pensando che dopotutto le provincie sono in via di estinzione, accorpamento, fusione, con-fusione.

A malincuore digeriamo la svista, senza troppo offenderci. Noi poveri sabini ci consoliamo facilmente. In fondo, abbiamo tutto da guadagnare dalla nuova geopolitica. Finalmente i turisti, i cinefili felliniani, i burocrati di mezza Italia se la smetteranno di chiederci se “RI” sia la sigla di Rimini…