Essere saggi? È cercare il Regno di Dio!

A Salomone, appena diventato re, Dio concede di chiedere quel che desidera. Saper bene governare, dice l’interpellato, e Dio gli risponde: poiché non hai chiesto una lunga vita, o ricchezze, o vittoria sui nemici, ecco, ti concedo la saggezza. Chissà se i governanti d’oggi hanno la stessa preoccupazione; in ogni caso, anche chi non ha responsabilità politiche dovrebbe cercare di vivere saggiamente. Ce lo ricorda anche il Vangelo di domenica prossima (Matteo 13,44-52).

Per la terza domenica di seguito sentiamo Gesù narrare parabole. Due domeniche fa, quella del seminatore: parte della sua semente va persa sul sentiero, sulle rocce o tra i cespugli; solo una porzione cade su buon terreno, dove dà frutti abbondanti. Domenica scorsa, la parabola della zizzania: anche il buon terreno dove il grano può crescere è infestato da erbacce; solo alla mietitura le si separerà dal grano e le si brucerà. Oggi, lo stesso concetto è ribadito dalla breve parabola della pesca: soltanto quando tira a riva la rete, il pescatore raccoglie in canestri i pesci buoni e getta via quelli cattivi (cioè i molluschi e i crostacei, che gli ebrei consideravano non commestibili). Si ribadisce dunque qui il concetto che gli uomini buoni e cattivi vivono insieme, e soltanto alla fine il giudizio rivelerà a quale gruppo ciascuno appartiene.

Gesù continua così il discorso che permea tutto il suo insegnamento, il cui tema ricorrente è il regno di Dio. Ricorrente dagli inizi: il Vangelo riassume gli esordi della sua vita pubblica, riferendo che “Gesù cominciò a predicare e a dire: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Matteo 4,17), sino alla fine: già in croce, egli esaudisce la preghiera del “buon ladrone” che gli ha chiesto “Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno” (Luca 23,39-43). Di mezzo, innumerevoli sono i riferimenti a questo tema, e tra essi si pongono le parabole, intese a far intuire che cosa sia il regno dei cieli, o regno di Dio.

Intuire, perché spiegarlo non è facile, trattandosi di una realtà oltre la comune esperienza. Il regno di Dio infatti non è in alcun modo assimilabile ai regni o alle repubbliche di questo mondo: non ha un territorio, non ha un parlamento, non riscuote tasse, non ha un esercito né tribunali. La parabola del seminatore dice che la possibilità di appartenervi è data a tutti, pur se non tutti la accolgono; la zizzania e i pesci da buttare ricordano che al momento buoni e cattivi vi convivono.

Due brevi parabole di domenica scorsa accennano al suo mistero, dato da una realtà agli esordi piccolissima ma dotata di insospettate potenzialità: un pizzico di lievito basta a far fermentare una massa di farina; dal più piccolo dei semi, il quasi invisibile granello di senapa, si sviluppa una pianta tanto grande da poter accogliere nidi di uccelli. Altre due di oggi dicono la preziosità del Regno, paragonandolo a un tesoro nascosto o a una perla di incomparabile valore.

Tante parabole, tanti accenni: ma che cos’è dunque il regno di Dio, e chi ne fa parte? Raccogliendo queste e altre indicazioni dei vangeli, si può rispondere così: il regno è la signoria di Dio sul creato, e vi appartiene chi la riconosce. E’ una realtà in crescita, non ancora compiuta (Gesù insegna a chiedere al Padre “Venga il tuo regno”), ma riconoscerla è come aver trovato un tesoro, una perla preziosissima; è la disponibilità a farsi buon terreno, che dà frutti copiosi.

Questi esempi portano in sé un preciso orientamento per chi vuole vivere da saggio: invitano a non essere orgogliosi o testardi al punto da ritenersi autosufficienti, né distratti o superficiali tanto da non distinguere i veri dai falsi tesori. Nulla vale di più che riconoscere la signoria di Dio, cioè stare dalla sua parte, fare la sua volontà, accogliere e ricambiare la sua amicizia. E se nulla vale di più, nulla dobbiamo cercare, nulla ci può bastare che valga di meno.