Essere Chiesa è restituire al Signore i suoi doni

La parola “Chiesa”, deriva dalla lingua latina “ecclesĭa”, che a sua volta deriva dal greco “ekklēsía”. Con questa inusuale premessa voglio introdurre una riflessione legata la mondo che viviamo. Mentre nell’epoca greca il termine indicava l’assemblea pubblica che si riuniva, nella logica cristiana esprime la comunità dei credenti in Gesù Cristo.

La prima Chiesa, sappiamo che è la comunità di Gerusalemme affidata a Maria e agli Apostoli, e per volere di Gesù stesso sarà affidata a Pietro. Il senso della comunità è il grande dono che l’umanità riceve e nella comunità ci si può confrontare, si può crescere, essere di aiuto al prossimo e ricevere aiuto dal prossimo.

Purtroppo oggi questa ricchezza, a disposizione dell’uomo, non viene apprezzata: si vive in condomini dove il saluto lungo le scale, se non si è in lite, è il massimo dello scambio sociale, oppure nel nido delle nostre automobili, dove non riusciamo a vedere che il colore dei semafori. Ed ecco che la solitudine sociale, diventa padrona della vita della maggioranza di noi.

Una solitudine che viene alimentata dai media e dalla rete. Questa presenza virtuale diventa la protagonista delle nostre giornate, spesso facendo la cronaca inquietante dei fatti più deleteri, come i femminicidi, il bullismo e, ultimamente, il fenomeno di questi giovani che partono, abbracciando non si sa quale fede, per andare ad uccidere in Siria o in Iraq. Forse possiamo cogliere in queste tragedie sociali un unico comune denominatore: la solitudine dei protagonisti, l’incapacità del confronto, un vuoto della loro anima.

I programmi televisivi che fanno più ascolti sono quelli che trattano la cronaca nera, con persone scomparse o omicidi quasi perfetti. Storie che trovano spazio per mesi o per anni in televisione. Protagonisti di reati che diventano personaggi, e mentre le loro vite vengono minuziosamente e morbosamente analizzate, in modo che al telespettatore arrivi quasi l’invito a consolarsi e a dirsi “tanto io non sono come loro”.

Forse qui entra in gioco il ruolo del cristiano, del battezzato in Cristo. È chiamato a guardarsi intorno, a porgere la mano a chi tiene i pugni chiusi perché forse ha trovato troppe porte chiuse, a guardare negli occhi chi gli sta intorno per trasmettere quella luce, quella pace che il Signore dona gratuitamente per donarla al prossimo.

Ed ecco che la Chiesa, si conferma di nuovo la guida per la vita, di chi vuole varcare le sue soglie: la Chiesa dove c’è sempre un sacerdote disposto ad ascoltarti, dove c’è un oratorio in cui bambini e ragazzi possono crescere nel rispetto e nel confronto; dove gli anziani possono vivere il tempo della compagnia e della condivisione e soprattutto dove si può essere guidati con l’ascolto della parola di Dio e nutrirsi spiritualmente dei Sacramenti, dono del Signore.

Senza niente togliere alle tante attività dedicate ai ragazzi, soprattutto lo sport praticato in modo serio e sano, che diventa antidoto a tante deviazione e tentazioni distruttive, che serpeggiano nella società odierna, non può mancare nella vita di ognuno, a qualsiasi età la conoscenza e la presenza del Signore.

E questa verità, questa consapevolezza, sicuramente eviterebbe le tante tragedie del nostro tempo: sentire in ognuno di noi che non siamo mai soli, sia nei momenti difficili e tristi che nei momenti belli della nostra vita, sentire la presenza di Dio.

E noi cristiani, in virtù di ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente, siamo chiamati a restituire al Signore, donando al nostro prossimo il suo amore che da senso alla vita.