Errani e Pirozzi al Meeting dei Giovani: «Solidarietà per ricucire la faglia emotiva del sisma»

Non si possono ricostruire le comunità delle zone terremotate «se prima non si ricuce la faglia emotiva aperta dal sisma». Si è collegato così al tema del MeWe, l’amore, il commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani, ospite dell’evento diocesano nel pomeriggio del 7 gennaio: «L’unico modello credibile di ricostruzione è quello che vede le istituzioni mettersi al servizio della comunità», non soltando offrendo competenze tecniche e professionali, ma incarnando con convinzione un ideale di partecipazione che è il solo a partire dal quale le comunità possono decidere di darsi un futuro.

Errani non si nasconde – né lo ha nascosto ai giovani del Meeting – l’enormità della sfida che i territori colpiti dall’interminabile ondata sismica degli ultimi mesi hanno di fronte. Ai problemi contingenti determinati dal terremoto, con il suo carico pesante di devastazione e di morte, si aggiungono ancora e sempre quelli atavici di un territorio isolato e sempre più spopolato: «Connettività, scuola, servizi, infrastrutture: senza tutto ciò – ha affermato il commissario – potremo al massimo ricostruire le pietre», ma il destino dell’Amatriciano rimarrà quello del pre-sisma.

La ricostruzione dovrà inoltre essere improntata a una legalità latamente intesa: «Non soltanto rispetto delle regole, ma anche di alcuni irrinunciabili valori di riferimento: la solidarietà, il contrasto ai piccoli e grandi egoismi (che non sono mancati dopo il 24 agosto), eguali diritti a prescindere da chi scalpita e da chi sta in silenzio. Una cosa seria, insomma, che veda tutti scambiarsi responsabilità e capisce che l’equità è ciò che consente a ciascuno di trovare la risposta giusta».

Infine, altrettanto indispensabile, il cambio di mentalità, il superamento di un modo di pensare modellato dai secoli che trova in un localismo esasperato ed esasperante la sua cifra distintiva: «Se stai in una frazione, sei pur sempre di Amatrice», ha ammonito Errani, che poi ha reso onore alla lungimiranza dei romani, cui va il merito di aver realizzato una Salaria bisognosa sì di miglioramenti, ma straordinariamente moderna in termini di rispetto del territorio, delle sue bellezze, delle sue peculiarità: «Superarne l’arretratezza senza compromettere i territori», questa la via maestra da seguire, accompagnandola a una ridefinizione del modello di sviluppo del territorio che faccia del settore agroalimentare un’eccellenza in sinergia con scuola e università e a un potenziamento dei servizi che prenda le mosse dal nuovo ospedale. Inutile dire che, in questo impegnativo mutamento di prospettiva, i giovani – «quelli che si fermano non per tradizione familiare, ma perché vedono che c’è un’opportunità» – possono recare il contributo decisivo.

L’intervento del sindaco Sergio Pirozzi si è agganciato all’ultimo argomento toccato da Errani: quello delle tante vite spezzate da sisma. Il primo cittadino di Amatrice ha dichiarato di aver imparato molto dagli ultimi mesi, di sentirsi migliore di come era in precedenza grazie alle numerose esperienze d’amore maturate nella gestione di questa nuova fase della storia del suo paese. «Le numerose perdite – ha detto Pirozzi – ti fanno capire il valore reale delle cose. In un mondo globale che dà valore alle apparenze, il terremoto ti fa capire innanzitutto che sei vivo e che finché c’è vita c’è speranza». E la speranza si incarna in persone straordinarie, come il volontario piemontese Marco, «il trecentesimo morto di Amatrice», scomparso sulla via del ritorno a casa dopo essersi tanto speso per le popolazioni terremotate. «Uomini come Marco portano sostegno, quindi amore».

Non è mancata una stilettata al mondo dei media, «che continuano a ripetere una frase detta sì da me, ma mentre mi trovavo in mezzo alle macerie: “Il paese non c’è più”. Amatrice invece c’è perché qui ci sono ancora essere umani». E proprio con loro il sindaco ha trascorso il Natale più bello, strappato all’insignificanza di festeggiamenti e di riti che spesso si ripetono sempre uguali senza scaldare realmente il cuore. Anche da qui la certezza che «ricostruiremo Amatrice materialmente soltanto se prima la ricostruiremo moralmente, pensando tutti alla collettività prima ancora che a noi stessi».

Tra i progetti cui il sindaco di Amatrice intende dare attuazione in futuro c’è quello di un museo della memoria, che non si limiterà a «mostrare Amatrice com’era. Lì metterò tutte le magliette, le lettere, gli attestati di solidarietà che abbiamo ricevuto in questi mesi e che continuiamo a ricevere. Serviranno da monito proprio agli amatriciani, che non dovranno mai dimenticare quanto hanno avuto. La nostra comunità dovrà essere la prima a correre quando si verificherà un’altra emergenza altrove. Allora sì che l’amore avrà fatto la sua parte». E dopo il tributo all’eccezionale solidarietà degli italiani, «il mio grande antidepressivo – così Pirozzi – nei momenti di scoramento», è arrivata l’esortazione ai giovani affinché siano «il carburante che viene dall’amore. Basta beni materiali, qui ormai abbiamo tutto. Serve l’amore, la pacca sopra la spalla, la condivisione di un percorso. I giovani di Amatrice dovranno essere non solo la classe dirigente di domani, ma anche coloro che trasmetteranno ad altri l’amore che hanno ricevuto da voi».

Al termine della sessione, prima di riunirsi in preghiera nello spirito di Taizé, i partecipanti al MeWe hanno ascoltato le brevi parole con cui il vescovo Domenico ha presentato il progetto della “Casa del Futuro” di Amatrice: «un sogno al momento», come ha sottolineato mons. Pompili, che però poggia già su un passato solido (l’eredità spirituale di don Minozzi), può contare su un presente possibile (una casa di accoglienza per giovani) e, soprattutto, ha dinanzi a sé un futuro interessante grazie al coinvolgimento dell’architetto Stefano Boeri e alla volontà di tante diocesi e realtà ecclesiali italiane (a cominciare dall’arcidiocesi di Milano) di dare una mano.