E i giovani lo seguivano: il Card. Martini e le nuove generazioni

«L’arcivescovo Martini invitava i giovani a mettere in gioco la propria libertà, a dare una risposta personale a Gesù. Credo si possa dire che per lui la pastorale giovanile corrispondeva in buona misura alla pastorale vocazionale». Mons. Franco Agnesi è oggi, dopo 9 anni da parroco, vicario episcopale della zona di Varese, una delle sette zone pastorali in cui è suddivisa la diocesi di Milano, la più grande del mondo. Negli anni ’80 è al servizio dell’Azione cattolica; nel 1989 viene nominato responsabile dell’ufficio diocesano di pastorale giovanile, per poi essere chiamato nel 1995 al ruolo di pro vicario generale della diocesi. Intervistato da Gianni Borsa per il Sir, affronta alcuni aspetti del rapporto tra lo scomparso porporato e le giovani generazioni.

Martini e i giovani: il primo pensiero corre alla Scuola della Parola. È un accostamento giustificato?

Credo proprio di sì. A pochi mesi dal suo arrivo a Milano, avevamo proposto all’Arcivescovo di guidare un incontro di preghiera dei giovani di Ac con il quale iniziava tradizionalmente l’anno associativo. Ma il Cardinale ci fece sapere di avere un’altra idea. Da lì presero avvio alcuni incontri mensili, nel periodo invernale, che allora chiamavamo Scuola della preghiera; si svolgevano in Duomo, rivolti ai giovani della città di Milano, guidati dallo stesso Arcivescovo. Ebbero subito un grande successo e i partecipanti crescevano di mese in mese; il Duomo era strapieno. Tanto che la formula, un poco rivista, si consolidò, si estese all’intera diocesi e proseguì per cinque anni. Era nata la Scuola della Parola.

Come si svolgeva? Quali gli intenti?

Lo schema era abbastanza semplice. Si iniziava con una preghiera, poi con il card. Martini leggeva un brano della Parola. Aveva un metodo che ricorreva: si chiedeva e ci chiedeva ‘cosa dice il testo?’; quindi ‘cosa mi dice personalmente il testo?’; infine ‘cosa rispondo io al Signore che mi interpella?’. La novità risiedeva nel fatto che i giovani erano invitati a pregare sulla Parola e con la Parola. E il Cardinale era di grande aiuto grazie alla sua capacità di far parlare la Parola. Ci accorgevamo che i giovani erano entusiasti di questo approccio, si lasciavano condurre dal Vescovo e poi la lectio diventava un aiuto per interrogare il proprio essere cristiani, la coscienza, la fede… In questo modo Martini prendeva il capitolo sesto della Costituzione conciliare Dei Verbum e la metteva in pratica. E i giovani lo seguivano.

Questa prassi pastorale si è poi diffusa al resto della diocesi?

Sì, dai giovani si è passati alla lectio degli adulti, nelle parrocchie, nelle associazioni. Ed è poi proseguita, con alterne vicende, fino a oggi.

Quali altre attenzioni aveva Martini per la gioventù?

Una vasta gamma di proposte, idee, cure pastorali, dagli oratori alla catechesi, sulla quale insisteva molto. E poi non vanno dimenticati alcuni appuntamenti importanti, come l’Assemblea di Sichem, l’iniziativa Sentinelle del mattino, il Sinodo dei giovani. Tutte occasioni volte a coinvolgere i giovani nell’immaginare e nel realizzare la pastorale giovanile ordinaria, affinché essi avessero un ruolo da protagonisti. In effetti direi che Martini non ha mai inteso ‘coccolare’ i giovani, bensì puntava a farli crescere, crescere nella fede. Inoltre non ne parlava mai come di una massa, ma aveva sempre in mente i ragazzi, gli adolescenti, i giovani come persone, ciascuno diverso dagli altri, ognuno con i suoi talenti, i suoi problemi, le sue attese e aspirazioni. Il suo non era un parlare giovanilistico, ma tendeva a toccare le coscienze. Forse proprio per questo aveva una grande capacità di catalizzare l’attenzione delle nuove generazioni.

Era quello il suo metodo educativo?

Probabilmente sì. Il cardinal Martini spesso osservava che ‘è più facile fare le cose difficili’. Con il Vangelo in mano, invitava i giovani a crescere, gradualmente, a fare dei passi avanti. Non solo: ricordo anche che non si è mai parlato dei ‘giovani di Martini’, perché non esistevano. Egli non voleva affascinarli oppure legarli a sé… C’erano, invece, i giovani della diocesi, quelli che frequentavano le parrocchie e quelli distanti dalla fede, cui si rivolgeva da padre, confidando sempre nella grazia di Dio e in ciò che il Signore sa operare in ciascuno di noi. Non a caso una sua lettera pastorale si intitola Dio educa il suo popolo.