Don Luigi Bardotti: un padre e pastore che ci ha lasciato troppo presto

Tanto ha fatto o ha contribuito a realizzare don Luigi, parroco amato dai suoi parrocchiani, prete senza fronzoli e di poche parole, sacerdote che ha sempre operato per il bene di tutti

Martedì 18 ottobre, presso la chiesa di san Domenico, gremita ogni oltre limite dai fedeli, e con la presenza di moltissime autorità non solo locali, il vescovo Domenico Pompili ha celebrato i funerali di mons. Luigi Bardotti, parroco della chiesa di santa Lucia, e della stessa san Domenico, nonché canonico della cattedrale. La funzione è stata arricchita da una delle sue tante creature pastorali, il coro, che, tra l’altro, ha intonato un paio di brani musicali quali l’Ave Maria di Lourdes e l’Inno al Creatore di Beethoven, a lui particolarmente cari.

Venuto dalla natia Vercelli nel 1969, arrivò a Rieti quasi in sordina, all’epoca del vescovo Nicola Cavanna.

Alla fine del 1993 gli fu assegnata la parrocchia di santa Lucia, nella quale erano già comprese le chiese di san Pietro martire e san Nicola, mentre la chiesa di san Domenico apparteneva ancora al demanio civile.

In quel periodo stava per terminare l’incarico di commissario prefettizio il dottor Guido Nardone, e a seguito di colloqui avuti con il prefetto Mario Morcone, e con la dottoressa Ileana, prima di lasciare Rieti, desiderò consegnare alla città un qualcosa di tangibile. Sentito anche il questore Isidoro Adornato, ed il sindaco Paolo Bigliocchi, fu deciso di restituire il tempio sconsacrato di san Domenico alla diocesi di Rieti, che pertanto fu compreso nella parrocchia di santa Lucia.

La chiesa era in pessime condizioni, ormai quasi completamente ridotta ai suoi quattro muri perimetrali, ma don Luigi, desiderando restituirla al culto, non si perse d’animo, e con la valida collaborazione di Ileana Tozzi, costituì subito un comitato cittadino, senza scopo di lucro, composto da 15 persone, ognuna con propri specifiche competenze, che iniziò ad operare dal luglio del 1994.

Quando il 2 febbraio 1995, poté togliere l’arrugginito lucchetto da tanto tempo fissato nel rudimentale portone laterale dell’edificio, mons Bardotti ebbe la precisa sensazione e consapevolezza del grande compito a cui andava incontro. In questa specifica circostanza giocarono a favore della ricostruzione della chiesa due fondamentali elementi: l’evento giubilare del 2000, e il fattore umano.

L’imminenza dell’anno santo creò straordinarie e irripetibili premesse per la ristrutturazione delle opere religiose in tutta Italia, in particolar modo nei luoghi sacri esistenti nelle vicinanze della città eterna. Il fondo del giubileo, costituito nell’ambito del Ministero dell’Interno, a favore degli edifici del culto, fra i quali san Domenico, di cui era proprietario il Ministero stesso, erogò un miliardo delle vecchie lire per questo tempio della cristianità costruito all’inizio del XIII secolo.

Senza alcun proclama, senza schiamazzi o trionfalismi, ma con immenso coraggio e sacrificio, Egli riuscì in breve tempo ad ottenere permessi, contributi, e quant’altro necessario, per il completo ripristino della chiesa. Agiva sempre con umiltà, ma con tenacia e fermezza, con perseveranza, ma con caparbietà, con semplicità ma con tanta forza morale dei suoi valori cristiani.

Per il ripristino di questo edificio sacro, la Soprintendenza per i beni architettonici del Lazio mise a disposizione i suoi funzionari professionisti che ebbero l’incarico della progettazione e direzione dei lavori. Varie imprese reatine collaborarono, ognuna per le proprie competenze e professionalità, a ricostruire le strutture lignee e murarie non più esistenti. Oltre all’impresa di Giuseppe Franceschini che in un anno esatto ricostruì totalmente il tetto, parteciparono anche la ditta di Giuliano Roversi che ripristinò il maestoso campanile sovrastante, si occupò inoltre del consolidamento strutturale del transetto, dell’intonacatura della parete destra e della tenuta degli affreschi ivi dipinti. Intervenne anche l’impresa di falegnameria dei fratelli Antonio e Roberto Leoncini di Greccio, che ricostruirono il portale in rovere massello. Nella circostanza furono rimesse al loro posto le cinque campane. A questo proposito, sorge spontaneo pensare all’ironia della sorte: le truppe piemontesi che occuparono la chiesa a seguito dell’unificazione d’Italia, smontarono le sue campane, un piemontese, il parroco don Luigi Bardotti, senza armi e senza eserciti, le fece rimontare.

Una parte del restauro degli affreschi, posti nella parte sinistra della chiesa, fu curato dalla Fondazione Varrone che dette l’incarico alla restauratrice Maria Letizia Molinari di Rieti. La ditta Antonacci infine montò il riscaldamento sotto il pavimento, composto in cotto a mano, e importato dalla Romania.

Appena terminati i lavori, il 18 dicembre 1999 la chiesa fu restituita al culto dopo soli cinque anni scarsi da quando fu deciso il suo totale ripristino.

Per completare degnamente la sua ricostruzione, resa possibile da vari contributi, fra i quali quelli erogati dalla Regione Lazio, dall’Amministrazione provinciale di Rieti, dal Comune di Rieti, dalla Fondazione Varrone e dalla famiglia di Renzo e Andreina Begi di Rieti, la chiesa fu dotata di un organo monumentale, e unico al mondo nel suo genere. Esso è uno strumento colossale di stile francese, disegnato nel 1765 e costruito in rispetto dei dettami di Mr. Roubo Le Fils e Dom Bedos de Celles: è formato da 5 tastiere e da 3.946 canne, da 32 piedi ordinari, da 70 registri ed è alto 14 metri. Ci sono voluti 40 mesi per realizzarlo completamente e il suo valore è di 1,2 milioni di euro. Questo imponente strumento musicale è stato costruito nella bottega d’arte organaria del maestro artigiano Bartolomeo Formentelli di Pedemonte (Verona).

Non solo ciò, ma tanto altro ha fatto o ha contribuito a realizzare don Luigi, parroco amato dai suoi parrocchiani, prete senza fronzoli e di poche parole, sacerdote che ha sempre operato per il bene di tutti coloro che lo conoscevano, padre e pastore che ci ha lasciato troppo presto.