Dimmi come mangi e…

Un nuovo studio dimostra che il tipo di dieta assunta costituisce il più importante fattore predittivo per le dimensioni del cervello dei primati, persino più della complessità della loro organizzazione sociale

Dimmi come mangi e ti dirò… quanto è grande il tuo cervello! Possibile? Beh, forse non è proprio così, ma ci andiamo vicino.
Pare infatti che il tipo di dieta assunta costituisca il più importante fattore predittivo per le dimensioni del cervello dei primati, persino più della complessità della loro organizzazione sociale. Questo almeno afferma un nuovo studio (pubblicato su “Nature Ecology & Evolution”), condotto da Alex DeCasien e colleghi, della New York University. Una ricerca, questa, particolarmente autorevole, trattandosi dello studio di questo tipo più ampio (sono state esaminate ben 140 specie diverse, esclusi gli esseri umani) finora condotto, i cui risultati peraltro rimettono in discussione una convinzione largamente diffusa tra i biologi evoluzionisti: la cosiddetta ipotesi del “cervello sociale”.
Secondo questa teoria – elaborata verso la metà degli anni Novanta -, in una prospettiva evoluzionista, sarebbe la complessità sociale dei primati a costituire il fattore trainante per lo sviluppo della loro intelligenza; dunque, a una maggiore complessità sociale corrisponde una maggiore complessità cognitiva.
I sostenitori di questa ipotesi sono convinti che essa sia la giusta spiegazione della compresenza nei primati – e in particolare negli esseri umani – di un elevato livello di socialità, di capacità cognitive superiori agli altri animali e di cervelli con dimensioni relativamente ampie. In verità, in base agli studi sull’evoluzione delle dimensioni cerebrali nei primati fin qui condotti, risulta che, almeno in alcune specie, esiste effettivamente una correlazione tra le dimensioni medie del cervello e il numero medio di esemplari che vivono in un gruppo sociale. Il fatto, però, è che queste correlazioni perdono consistenza man mano che si prendono in considerazione altri parametri di complessità sociale, come ad esempio la pratica o meno della monogamia degli animali studiati. Né finora sono stati considerati altri fattori potenzialmente importanti, come quelli ambientali.
Nella loro ricerca, DeCasien e colleghi hanno approntato il più ampio database mai realizzato sulle dimensioni cerebrali di primati non umani, confrontando poi questi dati con vari parametri di socialità (dimensioni del gruppo, sistema sociale, comportamenti di accoppiamento e abitudini alimentari). Il risultato di quest’analisi è che le dimensioni cerebrali non mostrano alcuna correlazione con i parametri sociali. Al contrario, essi ne hanno una significativa con la dieta praticata. Ad esempio, si è potuto verificare che i primati che si nutrono di frutta hanno sviluppato un tessuto cerebrale più esteso (del 25%) rispetto a quelli che si nutrono di foglie, anche se non se ne conosce la ragione.
Del resto, il fatto che la dieta possa rappresentare un fattore evolutivo importante appartiene già alla cosiddetta “ipotesi ecologica”, in base alla quale una maggiore capacità cognitiva, nel suo insieme, sarebbe legata alla spinta selettiva connessa con le difficoltà di adattamento all’habitat; fra queste, la necessità di nutrimento.
Anche se a prima vista, il risultato di questo studio sembra smentire l’ipotesi del cervello sociale, in realtà non è esattamente così. Sono molte infatti le questioni ancora da chiarire. Il cervello è un organo con diversi “compartimenti”, che probabilmente si sono evoluti secondo uno schema a mosaico. In altre parole, la selezione naturale sembra aver agito soltanto su alcuni di essi e non su altri, che sono rimasti praticamente inalterati. È probabile perciò che la complessità sociale abbia esercitato la sua pressione evolutiva solo sulla neocorteccia (la parte più superficiale e recente del cervello), ma non sono ancora disponibili dati sullo sviluppo della neocorteccia nei primati, sufficienti a verificare questa ipotesi.