Diaconi tra le montagne ad animare la comunità

Il sindaco del paese? L’ha battezzato il diacono. E trent’anni dopo, il primo cittadino di Micigliano si prepara a far battezzare allo stesso ministro sua figlia Giulia. Allora, a versare l’acqua benedetta sul piccolo Emiliano Salvati, era stato Vincenzo Focaroli, che era appena stato ordinato al primo gradino dell’ordine sacro. Adesso quel bimbo, ormai cresciuto, nel piccolo comune alle pendici orientali del Terminillo indossa la fascia tricolore e, con tutti i paesani, è profondamente legato a colui che da decenni è ormai il “parroco di fatto” della locale comunità cristiana.

Un servizio mai interrottosi, quello di Focaroli nel minuscolo paese (uno dei comuni più piccoli della provincia di Rieti e di tutto il Lazio) che si inerpica tra le gole della valle del Velino. Il parroco, ufficialmente, qui è quello della vicina e ben più grande Antrodoco. Ma da sempre il tuttofare, e colui che presiede la maggior parte delle celebrazioni, è un ministro speciale che oltre a battezzare, benedire, predicare e accompagnare defunti è sposo e padre di famiglia. Famiglia che l’ha sempre accompagnato nel suo ministero.

Vincenzo, che della comunità diaconale della diocesi reatina è stato l’apripista (nel tempo se ne sono aggiunti diversi altri: attualmente sono poco meno di una ventina i diaconi permanenti, e qualcun altro si sta formando per diventarlo) e ne è attualmente il coordinatore, ricorda quando, lui che è originario di Borbona, altro paese della zona, già da lettore e accolito, nei primi anni Ottanta, era stato inviato a Micigliano per animare la celebrazione domenicale in assenza di presbitero. Come dimenticare quella volta in cui, una domenica dell’83, diede alla gente l’annuncio che si sarebbe sposato? «Dapprima la sorpresa, poi l’applauso, gli auguri, il regalo. Una famiglia creata nella comunità, con la comunità».

Perché la sposa Paola si unì subito al marito che, ancora accolito, serviva la comunità miciglianese. E quando tre anni dopo divenne diacono (venne ordinato nell’agosto dell’86, durante la Settimana liturgica nazionale ospitata in quell’anno a Rieti) non smise di accompagnarlo nel suo servizio. Successivamente si unirono le due figlie, Maristella e Maria Letizia, che si formarono nel loro cammino di iniziazione cristiana insieme ai bambini del paese dove il papà ogni dì di festa giungeva da Rieti città (in cui la famiglia si era nel frattempo stabilita) per l’animazione domenicale rigorosamente con moglie e prole al seguito.

«È vero che la cura della comunità fa capo al diacono, ma le figlie, la moglie sono presenti nella liturgia, nel tenere il polso di qualche giovane, di qualche famiglia che ha bisogno di vicinanza», riferisce Focaroli. «Mia moglie Paola, con una presenza discreta, è vicina alle poche giovani che diventano mamme, alle meno giovani che sentono il peso degli anni e della malattia». A Micigliano, ancora oggi, tutte le domeniche e feste comandate, salvo rare eccezioni, all’altare della chiesa i parrocchiani continuano a vedere Vincenzo, molto spesso accompagnato dalla moglie, mentre le figlie, ormai giovani adulte, si vedono di meno ma sono ancora molto affezionate alla comunità.

Il sacerdote arriva per le feste patronali e le maggiori solennità, o quando d’estate un prete originario del paese si trova a trascorrervi qualche giorno di ferie e allora in chiesa si dice Messa a tutti gli effetti, perché le altre volte si ha il “concentrato” con la liturgia della Parola presieduta dal diacono che tiene l’omelia, distribuisce la comunione, benedice il popolo, oltre a curare battesimi, matrimoni, funerali e a interessarsi degli edifici della parrocchia, sotto la sua cura risistemati e resi decorosi. Sempre con la presenza silenziosa, ma fattiva e affidabile, della sposa che lo accompagna.

In diocesi di Rieti esistono altre esperienze simili, come quella dei coniugi Dino e Lorella che da qualche tempo curano, lui diacono, lei dinamica animatrice pastorale e catechista tuttofare, un altro piccolo paese (Calcariola), o quella di Agostino che insieme alla moglie Stella cura la cappellania del cimitero urbano, o ancora Mario che, affiancato dalla sposa e dai figli, ha svolto significative esperienze tra le famiglie sulle montagne dell’Amatriciano.

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