Deus absconditus: politica, antipolitica e nichilismo

Possibile che non si possa più credere in nulla, che non ci sia più speranza, che il Bene sia perduto per sempre, distrutto dal matrimonio tra neo-liberismo e corruzione?

vere tu es Deus absconditus
Deus Israhel salvator
Isaia 45, 15

Provando ad ascoltare il polso della società si percepisce un forte smarrimento. I segnali che arrivano tanto dalla cronaca, quanto dalla vita quotidiana non sono incoraggianti. In tutto il continente le persone vivono sulla propria pelle le amorevoli cure dei governi liberisti. Con la scusa di “sanare” il dissesto, attaccano i lavoratori e sfasciano il sistema di protezione sociale che l’Europa è riuscita a costruire dal secondo dopoguerra.

Il metodo è quello dell’austerity e dei sacrifici. E mentre i cittadini sono chiamati a tirar fuori soldi ad oltranza, la classe politica dimostra di non possedere più alcuna percezione della vita reale. Il popolo si indigna per le ruberie e l’eccesso di finanziamenti più o meno leciti, ma ancora di più per l’incapacità della classe politica di capire lo scandalo che dà.

La democrazia, ormai, è una sorta di mito. È vero che sta affiorando un Paese che ha nostalgia della partecipazione, di una qualche possibilità di dialettica. Ma è una esigenza che tende ad ridurre la vita democratica a valori vaghi e generici, ad un metodo da riconquistare o poco più.

Forse capita perché un po’ tutti ritengono le ideologie superate o da superare. Ma senza un orizzonte di scopi da servire, cosa rimane della democrazia se non la pura dimensione strumentale? Non la si riduce al semplice contare? Forse, passata la sbornia per il “Mondo Nuovo”, sarebbe il caso di recuperare qualcosa dal passato recente. Ad esempio il linguaggio.

Nell’armamentario dei concetti in disuso c’è una parola che l’Italia di oggi la racconta proprio bene: è “nichilismo”. Ormai abitiamo un Paese che non crede più in nulla, che non ha fiducia in niente, che attraversa a testa bassa un infinito scontento.

Nichilista è la condizione di chi vive in un vuoto culturale perenne, nel quale in risposta alla mancanza di idee arrivano slogan, parole d’ordine e armi di distrazione di massa. Credere che la semplice rimozione della classe dirigente in cambio di Grillo, Montezemolo o Renzi fornisca di per sé la soluzione, non denuncia forse la diffusa mancanza di un progetto politico, sociale ed esistenziale?

Quanto siano vane certe aspettative l’abbiamo sotto gli occhi: l’attuale Amministrazione comunale è nuova fiammante, ma non per questo ha dato vita ad una svolta. Se «un altro modo di intendere l’amministrazione pubblica» lo dobbiamo leggere nel concerto di Malika Ayane – come sostiene un po’ ingenuamente il sindaco – siamo messi veramente male.

Si dirà che anche la Chiesa arranca. È vero, ma almeno non perde tempo a rincorrere l’effimero. Piuttosto insiste a riflettere su di sé, sulla natura del suo stare al mondo: se la realtà segue poco l’insegnamento del Vangelo un motivo ci dovrà pur essere!

Non è forse questo il tema della “nuova evangelizzazione”? Non è anche questa la domanda cui vuole rispondere l’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI? In fondo sono esercizi di umiltà. Ci dicono che non si può rinunciare al confronto con il mondo che cambia, né disconoscere i cambiamenti che maturano dentro di noi.

Ad urlare la propria indignazione sembra si continui a mancare il bersaglio. Forse è tempo di mettersi in ascolto. Potrebbe tornare utile rinunciare alla retorica per indagare con calma su cosa si regga il disastro attuale. Un pensiero pacato, capace di sospendere il giudizio in attesa di capire meglio, rappresenta forse la più urgente riforma morale e intellettuale per il nostro Paese.

Per rispondere al nichilismo non possiamo che iniziare ad ammetterlo e imparare ad abitarlo. Se davvero siamo immersi in una specie di deserto totale, ne usciremo solo attraversandolo tutto.

Inutile sperare in un cambiamento quando non esiste il soggetto del cambiamento. Le generazioni di oggi, quelle che il Presidente del Consiglio Monti ha detto “perdute”, perdute lo sono davvero. Sono uomini e donne che vivono la condizione di chi è esule in patria.

Ma non è detto che non si possa ripartire proprio da questo. Cosa accadrebbe se cominciassero a riconoscersi come soggetto, ad elaborare soluzioni diverse da quelle preconfezionate di oggi? I più infelici tra di noi sono già uniti da un destino comune. Una presa di consapevolezza potrebbe trasformare la rassegnazione nel desiderio di un riscatto. Certo, è un passaggio che richiede una grande fede. Richiede l’azzardo di spiegare al mondo che Dio non è morto: è stato solo nascosto.